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GOLDEN LADY E OMSA: licenziamenti e sconcerto sindacale, tanto rumore per nulla.

di Monica Perugini, dalla lista nazionale di Sommosse

Tanto rumore e solo questo il significato del comunicato congiunto delle segreteria nazionali dei sindacati confederali sulla vicenda del licenziamento, arrivato nel pieno delle festività di fine anno, delle lavoratrici e dei lavoratori del più grande calzificio italiano, quello  di padron Nerino Grassi. Lo stupore dimostrato nel comunicato, infatti,  è il medesimo di quello espresso oltre due anni fa, quando Grassi chiuse la storica fabbrica di Faenza,  che era sorta ben prima che l’ex mugnaio di Castiglione delle Stiviere acquistasse, dopo aver inventato il suo, i marchi più prestigiosi della calzetteria nazionale.

Allora appariva ipotizzabile salvare la situazione:  sembrava impossibile che le 330 operaie, quasi tutte  in fabbrica da oltre dieci anni, potessero essere cacciate in strada e private del lavoro,  nonostante la produzione andasse a gonfie vele. Incontri, tavoli, conferenze di servizi sono proseguite senza sosta, anche se la latitanza e la superficialità con cui il padronato ha sempre affrontato un evento che considerava “proprio” avrebbe dovuto far riflettere molti e non solo i pochi che lo avevano sottolineato. Ed infatti di prospettive autentiche, riconversioni, cessioni aziendali non si è mai parlato con serietà, anzi la vicenda ha reso pubblico come da tempo la proprietà avesse chiesto alle amministrazioni locali la riconversione dello storico sito che si affaccia sull’autostrada, chiedendo il cambio della destinazione d’uso da industriale a commerciale;  alla faccia delle caratteristiche urbanistiche di un’area dove sono presenti unicamente postazioni produttive tipiche del comparto, dalla calza alla ceramica.

La prospettiva non era impossibile da “prevedere”, non ci azzardiamo a dire da analizzare, dato che sempre nel mantovano, Pompea, l’altra major della calza con sede a Castelgoffredo  per cui le pubbliche amministrazioni si erano fatte in quattro per sostenere, coi denari pubblici, infrastrutture e sostegni socio – economici oggi abbandonati o riconvertiti alla bene e meglio,  secondo le consuete contingenze dettate dall’emergenza pubblico / privata del fare cassa;   aveva “concertato” con il sindacato, la progressiva chiusura di tutti gli stabilimenti. L’ azienda, senza mai essere contrastata,  aveva deciso di de – localizzare in Serbia. E parliamo di oltre 5 anni orsono.

Del resto Pompea ha sempre fatto da apripista: non più tardi di qualche mese fa aveva tradito i patti concertati che prevedevano altra cassa e poi la mobilità, per passare ai licenziamenti. Grassi non ha fatto altro che copiare il cliché vincente (e del resto concertato) di Pompea. Per il marchio di Castelgoffredo la lotta non ha avuto la stessa risonanza: l’antica aurea dello spot “Omsa, che gambe!” non era possibile.  E in più … l’intera vertenza è stata gestita mettendo in atto lente quanto inarrestabili forme di anestesia sociale che sono riuscite nell’intento di realizzare  fra le operaie (moltissime dell’indotto – le ex lavoranti a domicilio-  ancor meno tutelate), quell’ assodato e generalizzato scoramento  che ha portato al risultato della rassegnazione e del disinteresse individuale verso una politica disinteressata degli individui.

Il risultato, tuttavia,   è stato lo stesso ed è stato conseguito: la lotta delle operaie di Faenza ha amplificato una protesta che,  dal  suo insorgere e per mano anche di chi doveva dirigerla in ben altra direzione,  aveva il destino segnato, il medesimo delle oltre 500 operaie di Pompea (senza contare l’indotto).

E poiché al peggio non c’è mai fine, il bingo delle grandi ha dato fiato e coraggio ai piccoli (padroni): i fallimenti improvvisi, le chiusure, le cessioni (tutte concordate e concertate col sindacato) delle piccole imprese modello Primamoda di Casalmoro, il calzificio con trent’ anni di attività  a gestione familiare (ma con circa 100 dipendenti)  che ha chiuso senza che il sindacato sapesse nemmeno organizzare le cause legali che i lavoratori hanno dovuto pagare di tasca propria  o della prestigiosa Levante, che per non essere da meno, pure ha de localizzato. Potremmo proseguire e non solo nel settore della calza:  per quanto riguarda il mantovano tutti i comparti hanno ripetuto la stessa dinamica, dalla ceramica, al meccanico. Ma l’esempio è comune e può essere mutuato in tutte le altre provincie e regioni italiani.  Non è altro che il capitalismo….

Oggi padron Nerino licenzia tutti a Faenza, Gissi è ad un passo dalla medesima soluzione e Mantova inizia a tremare, dopo che tutti i  “sindacalisti dalla parte dei lavoratori” avevano  tratto un sospiro di sollievo,  godendo delle disgrazie altrui;  credendo ancora che delocalizzazione e destrutturazione potesse salvare la situazione dei mantovani…

Non ci stupiremmo se dopo il trionfo degli affari, grazie a stipendi da € 200 al mese, all’assenza di grande sindacali (pero ora…) e con esse di diritti  e garanzie sociali ed alle agevolazioni garantire da una Serbia ricostruita dalle stesse  imprese occidentali che l’avevano distrutta;  capitan Nerino e con lui Pompea e gli altri padroni locali della calzetteria, riuscissero anche ad ottenere il sospirato cambio di destinazione d’uso dei siti industriali, magari da trasformare in centri commerciali, tipo iper… coop dove vendere le calze fatte in Serbia.

Sappiamo molto bene,  perché siamo da sempre al fianco di queste donne, delle nostre compagne, delle operaie che hanno passato una vita a cucire, stirare, confezionare prodotti di lusso o di largo consumo per poco più di 1000 euro al mese, che la lotta è diventata molto faticosa, che il peso della sconfitta fatta di assenza di reddito, assillo di debiti e mancanza di prospettiva futura,  sta prevalendo, impedendo forti azioni di contrasto. Ma sappiamo anche che chi oggi si indigna, perché non può fare altrimenti per tentare di salvare un onore compromesso in modo non più rimediabile, non può più essere considerato credibile e come tale deve essere apostrofato,  nelle sedi della lotta come nei confornti delle  istituzioni.

Il PD (e i suoi alleati sempre pronti ad accodarsi/acconsentire) che governa la Romagna da sempre (e buona parte del mantovano fino a pochi mesi fa…),  non può dirsi ignaro dell’accaduto e stupefatto dei risultati! Non regge. E così il sindacato:  le scelte fatte, le concertazioni al ribasso, le rese senza condizioni nelle grandi come nelle medio – piccole fabbriche, non possono essere dimenticate in nome dello spot CRESI ITALIA!

E come può crescere l’Italia? Se oltre alla manovra sangue e morte del democratico – mai eletto da nessuno Monti, i primi atti del governo che piace più al PD che al PDL,  è stato ratificare la chiusura di Termini Imerese, avvalorare, fra lacrime e risa,  la politica di Marchionne,  sferrare il colpo di grazia a Fincantieri, Vinylis e migliaia di fabbriche che continuano a far danaro all’estero. E in particolare in quella nuova Europa orientale oggi blandita, ma pronta ad essere ben presto trasformata, con  un nuovo acronimo, la stessa dei PIGS, quei poveracci oggi alla spremitura in favore degli interessi dei soliti padroni.

Unica via è stare con le operaie che lottano, e anche consapevoli della sconfitta, gridano della loro / nostra situazione reale:  ancora davanti ai  cancelli, a parlare con voce dissonante per arrivare ad altre donne, ad altre lavoratrici. Per questo oggi è importante portare avanti il boicottaggio di tutti i marchi OMSA e Golden Lady, amplificando il significato politico del gesto.

Se sta con le operaie faentine, di Gissi e di Mantova, il potente PD,  oggi al governo, cominci col far togliere le calze di Nerino, di Pompea e degli altri che hanno delocalizzato anche e soprattutto grazie alle politiche assunte ed avallate,   dai supermercati e dai centri commerciali delle coop amiche, dai discount e dal basso prezzo destinato al basso, o meglio inesistente,  salario, invece di proporle… in promozione,  a quelle stesse persone che  valgono solo in quanto  consumatori.

Ci giochiamo la tredicesima,   che tanto non abbiamo, che non sarà così e che le lavoratrici  (precarie, assunte dalle agenzie interinali, senza garanzie, sottopagate e iper sfruttate che costituiscono l’odierno personale di tutti i supermercati italiani) e il loro (pseudo) posto di lavoro in  quei moderni negozi, saranno la foglia di fico di una ipocrisia che non ha decenza. Salvo dimenticarsi di loro, tantissime ma divise, quando il loro contrattato non verrà rinnovato e saranno sostituite con altre coetanee altrettanto (e forse sempre più) precarie.

www.proletaria.it

Posted in anticapitalismo, crisi/debito, iniziative, precarietà, resistenze, storie di donne.