Tremate, tremate, le streghe son tornate! Quest’anno in tantissime piazza le donne stanno manifestando per la propria autodeterminazione, al grido collettivo e ribelle di IO DECIDO!
IO DECIDO SULLA MIA VITA, SUL MIO CORPO, SULLA MIA SESSUALITA’, SU OGNI SCELTA CHE MI RIGUARDI.
autodeterminazione per una donna è una parola vuota se non si regge sulla sfida quotidiana di tutte noi a trasformare l’esistente partendo dalle condizioni materiali di vita, perchè senza autonomia, indipendenza economica, siamo costrette a vivere nel ricatto e a non essere libere di scegliere. Quante donne maltrattate, picchiate dai mariti e dai fidanzati non se ne vanno di casa perchè non hanno un posto dove andare, non hanno soldi x mantenersi…
Continued…
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By me-dea
– 03/10/2014
Sullo striscione che apre questo corteo c’è scritto “io decido!” … una frase molto semplice, immediata, che tuttavia per le donne, per noi tutte, ha un peso particolare, ha un senso profondo e ha una forza innegabile, la forza di affermare la propria capacità e il proprio diritto a scegliere di noi stesse in qualsiasi ambito delle nostre vite … diciamo io decido! perché vogliamo essere noi a determinare se e quando diventare madri, diciamo “io decido!” perché vogliamo vivere la nostra sessualità liberamente, diciamo “io decido!” quando pretendiamo che il nostro corpo, i nostri bisogni e i nostri desideri non vengano mai utilizzati, piegati o sfruttati per un voto, per vendere una merce o come pretesto per reprimere, vietare, respingere altre donne, e altri uomini.
Ma quando una donna dice “io decido!” è perfettamente consapevole del fatto che ogni sua decisione, ogni sua scelta, passa attraverso il dato concreto delle sue condizioni di vita, della sua autonomia reale, della sua indipendenza che è anche, a volte soprattutto, indipendenza economica: il reddito, per una donna, è un fattore di importanza cruciale … può fare la differenza tra la violenza domestica o la propria salvezza, tra la scelta di fare un figlio, magari da sola, o non farlo, tra una condizione di eterna figlia e la propria crescita …
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– 03/10/2014
In Italia una donna su tre tra i 16 e i 70 anni e’ stata vittima nella sua vita della violenza di un uomo. Quasi 7 milioni quelle che hanno subito violenza fisica e sessuale. Ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Viene uccisa una donna ogni due giorni e mezzo. Un milione e 400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni. Un milione di donne ha subito stupri o tentati stupri.
La violenza maschile sulle donne è un’emergenza sociale, è fatto quotidiano, è un bollettino di guerra. Sui giornali si parla di episodi, ma non c’è nulla di episodico e di eccezionale, in un fenomeno che si ripete quotidianamente, sempre uguale a se stesso.
Intanto sui corpi delle donne si continua a legiferare, a parlare di sicurezza, di protezione, di vittime da difendere. I nostri corpi vengono ancora e sempre strumentalizzati per militarizzare un territorio, per criminalizzare i/le migranti, per controllare le persone attraverso la paura.
Sperimentiamo invece nella lotta che abbiamo forza e potere, che la violenza può essere agita, che dare la vita non vuol dire non saper usare la forza. Mettiamo in campo la nostra rabbia. Impariamo ad attaccare e non solo sempre a difenderci.
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– 03/10/2014
Oggi vogliamo ricordare anche un pezzo di storia delle donne che ci ha porta ogni 8 marzo a scegliere di scendere in piazza.
Vogliamo ricordare quelle giovani donne, ragazze, in alcuni casi bambine, al lavoro 14 ore al giorno per un salario di pochi dollari la settimana…sono le operaie di una fabbrica di camicette alla moda nella New York del 1911, nei cui locali si sviluppò l’incendio in cui morirono in 146, soprattutto immigrate italiane e dell’est europeo, imprigionate entro stanzoni chiusi a chiave dall’esterno per impedire che le operaie uscissero a prendere un po’ d’aria o a fare due passi …
La conosciamo come la fabbrica dell’8 marzo, ma andrebbe ricordata soprattutto come la fabbrica da cui partì il più grande sciopero del settore tessile che l’industria statunitense avesse mai conosciuto, una lotta durata mesi portata avanti con tenacia proprio da quelle giovani donne.
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– 03/10/2014
Ogni anno costruire l’8 marzo è una grande sfida perchè dobbiamo essere in grado di tener vivo quel filo rosso che ci lega a quella drammatica giornata del 1911, quando a New York 146 giovani donne, ragazze, in alcuni casi bambine, morirono nell’incendio che si sviluppò all’interno della fabbrica dentro cui lavorano…imprigionate entro stanzoni chiusi a chiave dall’esterno per impedire che le operaie uscissero a prendere un po’ d’aria o a fare due passi.
E ogni anno dobbiamo anche essere in grado di strappare questa giornata di lotta al rito della festa commerciale in discoteca e soprattutto ai tentativi di strumentalizzazione da parte ci certo femminismo istituzionalizzato che a braccetto con i suoi partiti di riferimento, cerca di appropriarsi dell’8 marzo per raccogliere consenso. L’abbiamo vissuto proprio qui nella nostra città, con il tentativo spudorato di Snoq, tentativo che abbiamo rispedito al mittente. Volevano un corteo per un Europa laica e dei diritti. Avrebbero voluto ancora una volta far campagna elettorale sui corpi delle donne. Ma quale Europa? Un’Europa immaginaria che sta dentro solo le loro teste…l’Europa che noi conosciamo è quella che lascia morire le migranti e i migranti nel mar mediterraneo, l’Europa che lascia partorire le donne greche all’ingresso del pronto soccorso e che non permette più loro di abortire gratuitamente; è l’Europa delle politiche di austerity, dei tagli al pubblico, delle privatizzazioni, dello smantellamento dei servizi e del welfare; l’Europa del carovita, degli sfratti, delle devastazioni e speculazioni sui territori.
Continued…
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– 03/10/2014
Appena ci riprenderemo dalla fatica e dalla sbornia, scriveremo qualche riga anche a noi a commento e riflessione della giornata che ci ha viste protagoniste tutte insieme sabato 8 marzo a Torino. Ci sono tante questioni che ci frullano per la testa e non appena avremo modo di elaborarle come collettivo, le condivideremo anche con voi che ci leggete.
Nel frattempo, sperando di farvi cosa gradita!, abbiamo deciso di pubblicare e quindi di socializzare i testi, i materiali e gli appunti con cui abbiamo costruito i nostri interventi dal furgone. Abbiamo cercato di toccare più questioni e soprattutto di intrecciarle tra loro, tentando di comporre una tessitura consapevoli che quando si parla di autodeterminazione, le declinazioni sono molteplici e complesse. Come si fa a parlare di libertà senza riflettere sulle condizioni materiali di vita? O ancora come sarebbe possibile parlare di violenza sulle donne senza legarla alla violenza sulla terra? E discutere di crisi senza far cenno alla speculazione delle grandi opere? E di femminismo senza anticapitalismo? Etc. etc. etc…Buona lettura!
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– 03/10/2014
Ieri sera è entrata nel vivo la campagna Tana libera tutte! Staniamo gli obiettori! Prima azione in Piazza Vittorio 10 a Torino dove abbiamo stanato una farmacia di obiettori che non vendono nè la pillola del giorno dopo, nè preservativi. La farmacia in questione si chiama Algostino, è presente sul territorio dal 1804 ed è sempre stata nota per la sua vicinanza alle posizioni più oltranziste del Movimento per la vita.
Abbiamo volantinato, attacchinato sulle vetrine e sui muri adiacenti una serie di manifesti e speakerato invitando le passanti e i passanti al boicottaggio. Al grido di #mancouncerotto abbiamo continuato l’azione fino a quando un solerte servitore del farmacista è uscito dal negozio per staccare i manifesti e aggredirci, mettendoci le mani addosso e minacciando di denunciarci.
Sul nostro profilo Facebook trovate video, foto e tutti i contributi. Cercate Medea Torino.
TO BE CONTINUED…
Mai più sonni tranquilli per gli obiettori…Tana tornerà!
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– 03/08/2014
Fermiamoci a guardare i loro visi seri chini sulle macchine da cucire…sono i volti di giovani donne, di ragazze, in alcuni casi di bambine, al lavoro 14 ore al giorno per un salario di pochi dollari la settimana…sono le operaie di una fabbrica di camicette alla moda nella New York del 1911, la Triangle, nei cui locali si sviluppò l’incendio in cui morirono in centoquarantasei, soprattutto immigrate italiane e dell’est europeo, imprigionate entro stanzoni come al solito chiusi a chiave dall’esterno per impedire che le operaie uscissero a prendere un po’ d’aria o a fare due passi …
La conosciamo come la fabbrica dell’8 marzo, ma andrebbe ricordata soprattutto come la fabbrica da cui partì il più grande sciopero del settore tessile che l’industria statunitense avesse mai conosciuto, una lotta durata mesi portata avanti con tenacia proprio da quelle giovani donne i cui visi, ammettiamolo, con sempre maggior fatica e disagio abbiamo tentato in questi anni di conciliare con un 8 marzo che le dovrebbe simbolicamente ricordare ma che si è trasformato con noncuranza da giornata a festa; un 8 marzo che non siamo più riuscite ad accostare a un fiore che pareva seccarsi sui tavolini delle discoteche e sembrava aver perso tutta la carica e la forza di cui erano portatrici quelle donne, partigiane combattenti, che subito dopo la Liberazione proposero proprio la mimosa come rappresentazione di tutte le donne e delle loro lotte, in ambito politico, sociale, economico e culturale.
Questo 8 marzo vogliamo rimettere insieme i pezzi di un mosaico che ha il profilo di quei visi in bianco e nero ritratti nelle fotografie delle operaie della Triangle che marciano in sciopero per le vie di New York e marciando costruiscono un ponte che attraversa i decenni per dire e dirci sempre la stessa cosa:
Continued…
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– 03/04/2014
Ecco l’appello per la manifestazione di Torino scritto e condiviso da collettivi femministi e associazioni di donne che chiamano alla mobilitazione per l’8 marzo, con appuntamento alle ore 14.30 in Piazza Vittorio.
Da tempo assistiamo a gravi attacchi alla libertà delle donne di scegliere sul proprio corpo e sulla propria sessualità. È recente, in Spagna, la proposta di legge del governo del partito popolare conservatore di Rajoy che, oltre a riaffermare l’obiezione di coscienza per tutto il personale medico, introduce drastiche limitazioni alla possibilità di interrompere la gravidanza, attribuisce l’esclusiva decisione ai medici e riporta l’aborto a essere un reato.
Nella stessa direzione si colloca la bocciatura d…a parte del Parlamento europeo della risoluzione Estrela, che intendeva impegnare gli Stati della UE a mettere al centro delle proprie politiche sociali i diritti sessuali, la lotta alle discriminazioni basate su genere e orientamento sessuale e l’autonomia di scelta delle donne.
Anche in Grecia, fra le pesanti limitazioni del welfare dovute alle politiche di austerity, l’interruzione volontaria di gravidanza é stata eliminata dalle prestazioni gratuite e garantite dal sistema sanitario nazionale.
L’ovvia conseguenza di queste limitazioni e privazioni sarà l’aumento degli aborti clandestini, ai quali saranno maggiormente esposte le donne migranti.
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– 03/04/2014
Riceviamo dalle compagne della Coordinamenta di Roma
Sabato alle ore 11.00 sotto Rebibbia Femminile, al pratone in fondo a via Bartolo Longo
SIAMO RINCHIUSE IN UNA GABBIA A CIELO APERTO, FATTA DI PAROLE CORROTTE E SEGNALI STRAVOLTI, FATTA DI QUOTIDIANE ESPROPRIAZIONI DI PEZZI DELLA NOSTRA VITA E DELLA NOSTRA IMMAGINAZIONE , UNA GABBIA CHE HANNO COSTRUITO PER NOI E CHE HANNO CHIAMATO “NORMALITÀ”.
La nostra “normalità” è così l’esecuzione automatica, inconscia, di gesti quotidiani che sono programmati da qualcun altro. Le nostre giornate sono piegate alle esigenze di un sistema produttivo che succhia costantemente le nostre risorse e non dà indietro nulla, ad eccezione delle macerie.
Siamo costrette/i in doveri e divieti sempre più capillari che aspirano a regolare ogni nostro comportamento, dal più privato al più pubblico. Vorrebbero farci correre sulla ruota come i criceti, con l’illusione di arrivare da qualche parte e, se non ci adeguiamo a questo circo di sfruttamento ci pensa l’apparato repressivo a metterci in regola.
Questo presente fatto di galere con le sue quotidiane violenze, assordanti anche quando sono silenziose, viene spacciato come il migliore, oppure come il meno peggio, in ogni caso come unico esistente, costruendo in questo modo l’ultima delle gabbie: la rassegnazione.
Continued…
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– 03/04/2014