Skip to content


Dedicato a Sergio Marchionne…

“E io credo sinceramente che la cattiva salute e quindi la disoccupazione di mio marito dipendano dalle condizioni disastrose in cui dobbiamo vivere e lavorare. L’orario di lavoro nel pozzo va dalle sette di mattina alle tre del pomeriggio, dalle tre alle undici di sera, dalle undici alle sei del mattino.

Una gabbia piena di uomini scende mentre l’altra sale.

Per quanto riguarda i pasti, hanno venti minuti di sosta per mangiare quando sentono che è ora, si portano la roba da mangiare in gavette di stagno e da bere, in generale, si portano nel pozzo l’acqua in bottiglie di stagno.

A volte mio marito lavora in una zona del pozzo freddissima, altre, come l’ultima zona in cui ha lavorato, caldissima e lui doveva portarsi una maglia e i calzoni di ricambio ogni giorno, perché non poteva proprio lavorare con gli stessi vestiti che aveva addosso andando e tornando dal lavoro.

Prima della fine della giornata di lavoro non gli è rimasto addosso nemmeno un filo asciutto: si può dunque immaginare in che stato riporta a casa i vestiti dalla miniera, e noi mogli tutte le sere dobbiamo lavare la maglia e far asciugare i calzoni, che prima di essere asciutti sono diventati rigidi per il sudore e la polvere di carbone.

Qui le case non sono costruite tenendo presente i bisogni dell’inquilino, per cui non abbiamo il bagno nelle condizioni in cui sarebbe più necessario: come sapete, un minatore deve farsi il bagno tutti i giorni.

Adesso stanno costruendo dei bagni all’uscita dei pozzi, ma non so se i lavoratori ne saranno avvantaggiati, perché in maggioranza hanno bisogno soprattutto di mangiare quando tornano a casa dal pozzo.

Si lavano appena le mani e si buttano sul pasto, aggiungendo magari una fumata e, qualche volta, se sono molto stanchi, un sonnellino.

Per cui vi rendete conto che andare direttamente al bagno sarebbe una cosa molto diversa: certi abitano molto lontano dal pozzo e devono andare a piedi o prendere un tram.

A casa non abbiamo caldaie per far bollire i vestiti e dobbiamo farlo sul caminetto del soggiorno, per cui non c’è da stupirsi che tanti bambini si procurino delle ustioni perché molta gente prepara l’acqua bollente per il bagno e i vestiti del padre e i bambini che trotterellano lì intorno ci cascano dentro.

Una bambina di cinque anni che abitava proprio vicino a me è morta la settimana scorsa perché è caduta in una tinozza di acqua bollente che stavano preparando per il padre.

Capite che bisogno abbiamo di avere il bagno in casa.

A volte ci rendiamo conto del fatto che in un certo senso la nostra non è una vita, ma solo un’esistenza”.

Lettera inviata alla Lega Cooperativa delle Donne del Galles dalla signora F.H. Smith, da un villaggio minerario, dopo il 1926.

Pubblicata in “La vita come noi l’abbiamo conosciuta. Autobiografie di donne proletarie inglesi” Savelli Editori, Milano, 1979

Posted in precarietà.


2 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. elisa sgobba says

    davvero interessante, stiamo proprio tornando a quei tempi.

  2. elisa says

    davvero istruttivo, stiamo tornando a quei tempi.