Skip to content


Seconda dedica a Sergio Marchionne…

“A dodici anni andai a lavorare in una fabbrica di cappelli: dovevamo sedere su un banchetto di legno collocato nello stretto corridoio tra le tavole, dietro alla nostra capa che sedeva davanti a un tavolo su uno sgabello più alto o su una sedia. Dovevamo applicare sui cappelli le strisce di cuoio, era proibito parlare, a meno che ci fosse rivolta la parola, o ridere, anche se sentivamo qualcosa di buffo.

Dovevamo essere sul posto di lavoro, che distava oltre un miglio da casa, alle sei e venti del mattino. C’era in cambio il vantaggio di vedere l’alba e di camminare accanto a dei begli alberi, ma nelle mattine in cui gelava, con la strada ridotta a una lastra di vetro e la paura di arrivare con un minuto di ritardo, non era un gran divertimento.

E poi la stanza dove lavoravamo, una stanza grande, era allo stesso tempo magazzino e sede della fabbricazione a macchina e della rifinitura dei cappelli, riempita a metà da sei tavoli, a ciascuno dei quali sedevano dieci ragazze, arrampicate su degli sgabelli a tre gambe, con le lampade a gas all’altezza degli occhi, il vapore, l’aria che entrava solo dalle scale e centinaia di dozzine di cappelli accumulati nella stanza.

Era una cosa terribile, e le mie compagne di lavoro non andavano tanto per il sottile ed erano anzi assai sbrigative.

Tuttavia non riuscii mai a capire una cosa, quelle ragazze lavoravano molto ma non avevano mai soldi per pagarsi una vacanza  o almeno per riuscire a non fare debiti. Erano molto più grandi di me, che avevo solo quattordici anni.

Raccontavano storie tremende delle ragazze chiuse nelle fabbriche di Manchester, senza neppure un vestito tranne quello che apparteneva alla padrona, e della loro vita infelice.

La lavorazione dei cappelli era molto faticosa, per chi non aveva polsi molto robusti era impossibile spingere l’ago attraverso il feltro e tirarlo fuori. Bastava che ci fosse un punto storto e a noi toccava disfare e cucire di nuovo… facevamo un lavoro pesante per tutto il giorno e poi ci portavamo il resto a casa, lavorando fino alle otto o alle nove di sera per 13 o 15 scellini alla settimana.

Credo però di aver fatto svagare le mie compagne perché, avendo scoperto che non sapevano quasi nulla di storia o di geografia, ci mettemmo a imparare le capitali dell’Europa e dell’Asia, a fare lezione e così via, e io scrivevo per loro le lettere d’amore!

Non dimenticherò mai un giorno mentre scendevo per una strada che aveva allineate sui due lati delle grandi fabbriche, mi augurai di non dover mai far  crescere un figlio in un mondo dove fosse condannato a fare quella vita”.

Lettera inviata alla Lega Cooperativa delle Donne intorno al 1920 dalla giudice di pace signora Scott.

Pubblicata in “La vita come noi l’abbiamo conosciuta. Autobiografie di donne proletarie inglesi” Savelli Editori, Milano, 1979

Posted in precarietà.


One Response

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

Continuing the Discussion

  1. Latest Seating Ergonomics News | Ergonomic Computer Desk linked to this post on 01/23/2011

    […] Seconda dedica a Sergio Marchionne… – M&#1077-DeA […]