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E’ La Stampa, bellezza!

Dal giornale che ospita tra le sue pagine gli articoli a firma Massimo Numa ci si poteva davvero aspettare di tutto, ma, dobbiamo riconoscerlo, questa volta il quotidiano torinese è riuscito a stupirci, e a farci irritare, più del solito: ci riferiamo alla vicenda della ragazzina che, per paura di essere punita se i suoi genitori avessero scoperto che aveva avuto un rapporto sessuale con un coetaneo, ha inventato di essere stata violentata da due rom.
Un corteo di solidali, e perbene, cittadini e cittadine italiani, organizzato anche da un volantinaggio nel quartiere al grido di “Ripuliamo la Continassa!”, è terminato con la fuga di famiglie inermi e il rogo delle loro cose, tra le macerie della cadente cascina in cui vivevano.
Come si dice, la protesta è sfuggita di mano…
Ebbene, La Stampa ha seguito tutta la storia e, chissà se ancora si fa, quegli articoli andrebbero letti in classe a dimostrazione di quanto spirito critico, e santa pazienza, si debba spesso esercitare di fronte alla carta stampata.
A suffragare il nostro sospetto, per usare un eufemismo, che questa volta si fosse proprio oltrepassato il limite, come spesso e volentieri accade quando la notizia mette insieme l’appetitosa triade stupro stranieri e donne italiane, meglio se giovani, vi suggeriamo di leggere il capolavoro di ipocrita contrizione comparso ieri, sempre su La Stampa, a firma di Guido Tiberga, il quale chiede scusa per il titolo del primo articolo sui fatti, che recitava “Mette in fuga i due rom che violentano la sorella”.
Le scuse sono solo per il titolo, beninteso, perché, va da sé, gli articoli di questi ultimi giorni, sono impeccabili, dall’inizio alla fine, parola per parola, virgola dopo virgola.

Infatti, a parte i condizionali d’obbligo, ormai lo sanno anche i bambini delle elementari che vanno usati quando non vi è certezza, c’è tutto il banale corredo tipico del patriarcato giornalistico, del comune pregiudizio, del si dice perché si sa che accade, e a noi non importa un accidente che si tratti, in questo caso, di un’invenzione partorita da una sedicenne impaurita e pure un bel po’ irresponsabile…e quindi ecco tutti gli elementi che ben conosciamo: il buio, i cespugli, il sangue, il fratello maschio che accorre, la rabbia del quartiere, le ragazzine italiane sotto shock, i rom.
Fino ad arrivare al rogo, alle mazze, ai bastoni e a cinquanta persone che scappano.
A questo punto compaiono gli ultras del calcio, gli inviti a non farsi giustizia da sé, e, colpo di scena finale, lo stupro inventato.
E meno male che a raccontare la balla è stata una ragazzina, fosse stata una donna adulta avremmo potuto persino leggere sotto traccia quello che in alcuni tribunali durante i processi non si ha nessuna vergogna di dire ad alta voce: si è inventata tutto, non è credibile, non è stata una violenza.
Davanti alle fiamme appiccate dai volenterosi carnefici del razzismo della porta accanto, La Stampa aggiusta il tiro e dal nero vira al rosa: la sedicenne ha mentito per difendere il suo amore, il fratello ha provato a fermare i cattivi con le spranghe, i rom sono stati premurosamente avvertiti – non difesi, sottolineiamolo – dai vigili e da alcune persone di buon cuore del quartiere.
A questo punto, dopo la spedizione punitiva, l’ingiustizia che viene svelata e la parola che passa ai perseguitati: i rom, che non sono dei santi, per carità, ma tanto sfortunati.
Sembra un racconto di Dostoevskij. O una telenovela brasiliana. Finzione, appunto.

Arriva finalmente il momento delle scuse, catartiche, liberatorie e purificatrici.
Guido Tiberga scrive al plurale, quindi supponiamo esprima anche il pensiero dei suoi colleghi di testata, e chiede scusa per il titolo razzista, per i fatti non verificati, per il razzismo “inconsapevole, irrazionale, che scatta in automatico”, tutto giusto…peccato non  lo sfiori neanche il fatto che quel titolo fosse non solo razzista ma anche profondamente maschilista, proprio di quel maschilismo inconsapevole, irrazionale, che scatta in automatico: il corpo della donna difeso dal maschio di famiglia.
E leggete poi, senza esplodere, la frase finale: “un titolo di cui oggi, a verità emersa, vogliamo chiedere scusa. Ai nostri lettori e soprattutto a noi stessi”, quindi se non fosse stato tutto inventato, non ci sarebbe stata necessità di scusa alcuna? Scuse peraltro porte ai soli lettori, non ai rom, non alle donne che neppur possono contare su di una propria identità, in quanto nominate solo come sorelle.

A noi pare che queste scuse abbiano lo stesso identico sapore delle lacrime ipocrite e false della Ministra Fornero…come se il giornalista non sapesse che proprio quel tipo di titolo attira lo sguardo, che proprio far leva sul becero luogo comune fa vendere copie.
O, magari, non sapesse, non sapessimo, che l’intollerabile e corrente abuso del corpo femminile non è esclusivamente un problema del signor B.

Posted in femminicidi, migranti, pensatoio, personale/politico, sessismo, storie di donne, violenza di genere.