“E’ sposata?” oppure “ha intenzione di metter su famiglia?” o “ha figli piccoli?” e ancora “è disponibile a fare straordinari?” se non direttamente “ possiamo contare sulla sua capacità di concentrarsi esclusivamente sul lavoro?” oppure il più raffinato “date le sue responsabilità familiari, ritiene di poter ricoprire al meglio la mansione per cui presenta la sua candidatura?”… queste sono solo alcune delle domande che in sede di colloquio vengono ancora rivolte alle donne, soprattutto se giovani e in età, secondo i potenziali datori di lavoro, a rischio di maternità. Non le abbiamo inventate.
A volte, prima durante o dopo il periodo di prova, viene tirata fuori una lettera da firmare, una lettera in bianco, senza data: è la lettera di dimissioni, ricatto costante e spauracchio per molti lavoratori e per molte lavoratrici, da mandar via senza tanti problemi, dato che in effetti di dimissioni volontarie si tratta, a fronte di una gravidanza, di un infortunio, di una lunga malattia o magari per la fine del periodo di incentivi all’assunzione.
Una legge semplice e a costo zero, la legge 188 del 17 ottobre 2007, che prevedeva, in estrema sintesi, che le dimissioni dovessero essere redatte su appositi moduli, con procedura telematica, segnati da un codice di identificazione progressiva, da compilarsi da datore di lavoro e dipendente con il riferimento al contratto di assunzione, il tutto con una validità di quindici giorni, in modo da render certo non si trattasse di atti appunto firmati ben prima e poi utilizzati discrezionalmente dal datore di lavoro.
Se una firma è per sempre, una legge, evidentemente, no. Infatti la legge 188 è stata abrogata dal Governo Berlusconi con decreto del giugno 2008, in base al quale per le dimissioni torna ad esser sufficiente la comunicazione redatta su un normale e qualsiasi foglio.
Secondo Susanna Camusso, segretaria generale della CGIL, circa 800.000 donne hanno perso il lavoro da quando la legge 188 non è più in vigore e, come avrete letto, è in corso da settimane una mobilitazione per chiederne il ripristino: proprio oggi le firmatarie dell’appello “188 donne per la 188” hanno consegnato alle prefetture una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Mario Monti, al Presidente della Camera Gianfranco Fini, al Presidente del Senato Renato Schifani, alla Ministra Elsa Fornero e alle deputate e alle senatrici di tutti i gruppi parlamentari, sollecitando un impegno concreto e preciso.
Fin qui, la cronaca.
Il rapporto tra le donne, le lavoratrici in questo caso specifico, e le leggi, in ogni forma il corpus giuridico di un paese si declini, in questi ultimi dieci anni si è snodato esclusivamente lungo una direzione: incidere profondamente sulla vita delle donne, in senso peggiorativo, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista sociale e culturale, in alcuni casi mostrando un accanimento estraneo al senso comune o alla percezione collettiva formatasi su determinati argomenti – si pensi alle sentenze della Cassazione sullo stupro – in altri pretendendo di imporre scelte e indirizzi di vita – e ci si riferisce a tutti i provvedimenti territoriali contro consultori e interruzione volontaria di gravidanza – per arrivare, infine, ad un tentativo, ex iure, di stabilire una volta per tutte il nostro ruolo: ricattabili e precarie per quanto riguarda il lavoro extradomestico, gratuitamente disponibili a replicare in casa lavoro di cura e servizi.
Noi ricordiamo, evidentemente ce n’è bisogno, che dall’abrogazione della legge 188, e ben venga, comunque, il suo eventuale ripristino, in meno di cinque anni, è stato redatto il Libro Bianco di Sacconi, le cui indicazioni sono precisamente riproposte dall’attuale governo Monti, cui le “188 donne” sentono di doversi e volersi rivolgere…è stato approvato il Collegato Lavoro, che rende pressoché impossibile tutelare i propri diritti di lavoratore e/o lavoratrice in sede giudiziaria, sono state cancellate le Commissioni Pari Opportunità dentro fabbriche, aziende, enti, organismi che per molte rappresentavano l’unico luogo in cui denunciare mobbing e discriminazioni di genere, e, infine, ma l’elenco potrebbe continuare, è stata attuata una riforma dell’età pensionabile delle lavoratrici che rappresenta un vero e proprio strangolamento a tempo per intere generazioni di donne.
Tutto questo mentre il 40% delle donne cosiddette inattive, ossia che non cercano più lavoro, non seguono corsi e non si professionalizzano, dichiara di stare a casa esclusivamente perché costrette a occuparsi di figli e famiglia, l’84% di loro vuol tornare a lavorare e rispetto alla media europea, relativamente al tasso femminile di inattività, in Italia le cifre sono quattro volte superiori.
E quelle che lavorano? A cosa possa servire una lettera di dimissioni in bianco lo lascia immaginare questo dato: alla nascita del primo figlio il tasso di occupazione femminile in questo paese passa dal 63% al 50% e letteralmente crolla con la nascita del secondo.
Ma non tutte loro l’hanno firmata e non a tutte loro è stata propinata…
Una lettera di dimissioni in bianco rappresenta un abuso ed è odiosa prassi agita soprattutto contro le donne, ma il punto è, prendiamo in prestito le parole di una giovane precaria che collabora con Me-DeA, che ormai ci licenziano, o non ci assumono proprio, con o senza firma!
La legge 188, lo si afferma provocatoriamente, è fumo negli occhi, esattamente come il dibattito sull’art.18: la verità, inconsapevole? Sta nel titolo del decreto con cui il Governo del signor B. la abrogò “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività e la stabilizzazione della finanza pubblica”, che sembra un’eco delle parole che Monti e Marcegaglia vanno ripetendo da mesi, parole che hanno un solo significato: con la scusa del rilancio dell’economia (ma quale?, altro punto su cui ragionare…) i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che vengono considerati e rappresentati ossessivamente come zavorra, complicazioni, freno alla competitività, inutili impicci, se non privilegio!, si contraggono sempre più, sino alla cancellazione.
Ne ha fatto le spese, con altro attore, la legge 188, ma non è finita…e per le donne questa è una partita che si gioca su più campi, in inestricabile intreccio tra lavoro e corpo.
Far firmare una lettera di dimissioni in bianco è proprio come schedare una donna che vuole abortire.
A noi contrastare entrambe.
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