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Il corpo

di Elisabetta Teghil

Questa società si definisce mediante il posto ed il valore che assegna ai due sessi e ai loro atteggiamenti socialmente costituiti. Il che comporta il fatto che esistano tante maniere di realizzare la femminilità quante sono le classi e le frazioni di classe. La verità di una classe o di una frazione di classe si esprime, quindi, nella forma in cui i sessi sono distribuiti al suo interno.

Mentre il femminismo ha cercato di portare a consapevolezza e di utilizzare politicamente tale correlazione, nella risposta socialdemocratica i ruoli sessuali continuano ad essere definiti e le nuove esperienze ibridanti della sessualità, transessuali e transgender, non sono tese alla rimozione dell’organizzazione classista e sessista, ma ne costituiscono una variante, spesso al servizio della soluzione economicamente più redditizia.

Pertanto il “femminismo socialdemocratico” e l’ibridismo sessuale filo-occidentale, diventano puntelli di questo ordine sociale.

In questo modo si avalla il principio che questa società sia positiva e la si eleva ad assoluto, rispetto alla quale il divenire temporale deve essere considerato come una forma già precompresa ed organizzata. Da qui, la radice, la causa ed il principio della violenza che la società stessa perpetra e che viene giustificata come difesa dell’ordine naturale e razionale. Accettando l’esistenza, l’ordine e la gerarchia delle classi sociali come naturali, le funzioni politiche dello Stato acquistano valenza sociale. Da qui, il diritto all’uso della forza ed al monopolio di questa che lo Stato pretende di avere, per cui si sanziona il principio della violenza legalizzata ed istituzionalizzata.

Per questo dimenticano che lo stesso corpo è un prodotto sociale.

Non esistono segni “ fisici” veri e propri. L’immagine sociale del proprio corpo, con cui ogni soggetto deve fare i conti, si ottiene attraverso l’applicazione di un sistema di classificazione sociale.

I segni costitutivi del corpo sono prodotti di una fabbricazione culturale vera e propria.

Dimenticare questo ha comportato devitalizzare l’impulso rivoluzionario del femminismo, deviandone la sensibilità, l’immaginazione e l’analisi verso forme di determinazione individuale e collettiva opposte alle premesse ideali.

I sentimenti umani di reciproco riconoscimento, di mutuo aiuto e di vicendevole costruzione delle proprie esistenze, sono stati tradotti in promozione individuale e sostituiti da meccanismi di promozione sociale, isolando le soggettività indisponibili a questa soluzione e le tante non coinvolte in questo processo, mettendole nella situazione di essere represse. Chi ha fatto queste scelte si è resa complice del razzismo istituzionale che rinchiude nei Cie per condizione, della discriminazione e persecuzione di comportamenti, etnie, nazioni o parti politiche della società.

La ricerca della felicità individuale e collettiva è stata capovolta in una realizzazione personale totalmente dimentica dell’originaria azione creativa e dialettica del femminismo, capovolgimento favorito attraverso l’indirizzo dei mezzi comunicativi e formativi di massa, per cui ogni riflessione e pratica eterodiretta rispetto alle pratiche dominanti, viene rinchiusa nella logica del negativo e del patologico, da reprimere, utilizzando le componenti socialdemocratiche riformiste come agenti controrivoluzionari.

Da qui l’incremento della violenza: a quella tradizionale che si manifestava nello sfruttamento all’interno del sistema organizzato di fabbrica o di impresa capitalistica, a quella che veniva esercitata nei confronti di chi aveva un orientamento ideologico diverso, a quella secolare di genere, oggi si è aggiunta quella di piegare al capitale, valore assoluto, la stessa libertà esistenziale-vitale.

In questa società, “realizzazione della civiltà”, la violenza non è più qualche cosa di esterno, ma è immanente, è causa e principio, e, perciò, è legalizzata ed istituzionalizzata.

La visione esclusivamente emancipatoria della condizione della donna, annulla l’idea e gli ideali di liberazione, rimuovendo l’orizzonte comune e collettivo della libertà.

Posted in anticapitalismo, corpi, femminicidi, femminismi, immagini/immaginari, pensatoio, personale/politico, storie di donne, violenza di genere.


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  1. Il corpo | Informare per Resistere linked to this post on 01/14/2012

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