Commesse obbligate a dire la taglia del reggiseno. Succede in Svezia, dove le dipendenti di una marca di lingerie sono costrette a indossare sempre un cartellino che indica le loro misure.
Ecco la vicenda, di cui abbiamo trovato notizia in rete. Le commesse svedesi dei negozi di lingerie Change hanno presentato querela contro il marchio danese per molestie, mentre il sindacato di categoria lo ha denunciato per discriminazione: tutta colpa della nuova politica imposta dalla società, che prevede che le assistenti alla vendita debbano indicare anche la taglia del reggiseno accanto al nome. Una mossa che avrebbe esposto molte commesse agli sguardi e alle battute pesanti da parte di clienti che vanno apposta nel negozio per dare una sbirciatina ai numeri in bella vista sui cartellini, come hanno raccontato alcune ragazze a dir poco sconvolte al giornale svedese Handelsnytt, lamentando il fatto che ai commessi maschi tale umiliazione venga risparmiata.
«Non è affatto piacevole essere in giro per la città e venire salutate dalle persone con il tuo nome e la tua taglia di reggiseno – ha raccontato una commessa, protetta dall’anonimato – perché questo è un qualcosa che dovrebbe restare privato». Ma alla Change sono sconcertati dalle denunce e sostengono che l’iniziativa serve solo ad aiutare i clienti a scegliere le taglie. «Non capisco come possa essere considerata degradante – ha detto la CEO dell’azienda, Susan Haglund – e poi indicare il nome con la taglia di reggiseno è una decisione volontaria». «Falso – ha ribattuto un’altra commessa – perché quando inizi a lavorare, ti danno un documento che dice che “il cartellino con il nome e la taglia va sempre indossato”, quindi non è un gesto volontario».
Chissà come mai ai commessi maschi non viene chiesto di indicare sul cartellino la misura del loro pisello, la lunghezza, il diametro…giusto per aiutare le clienti a comprare la mutande per i loro mariti, si intende…
L’altra tristissima storia arriva dagli Stati Uniti e riguarda una donna di 44 anni, Trudy Nycole Anderson, che ha sopportato per quattro anni le molestie sessuali del suo capo: quando ha deciso di denunciarlo ai superiori, è stata licenziata. Ora il caso è finito davanti al giudice.
«Lunedì minigonna, martedì top, mercoledì maglietta bagnata, giovedì niente reggiseno e venerdì bikini». Trudy Nycole Anderson aveva pensato a uno scherzo, quando ha ricevuto il calendario dei turni della ditta in cui lavorava. E invece il suo capo, Derek Wright, intendeva quelle disposizioni proprio alla lettera. La donna lo ha citato in giudizio davanti alla corte dello Utah per molestie sessuali. Secondo l’accusa, Wright passava intere giornate a molestare la sua sottoposta: domande sulla sua misura di reggiseno, pacche sul sedere, inviti espliciti.
Quando la Anderson ha chiesto un permesso per una visita medica, lui le ha risposto che le avrebbe fatto una mammografia gratis. Una volta Wright ha dichiarato che avrebbe fatto installare una doccia in ufficio solo per loro due, o, in un altro episodio, ha iniziato a spruzzare la stanza con uno spray che avrebbe dovuto «eccitarla». Fino alla richiesta di firmare un documento con cui la Anderson si impegnava a non denunciarlo per molestie sessuali.
A febbraio, dopo quattro anni di sopportazione per paura di restare disoccupata, la donna ha deciso di denunciare il fatto ai suoi superiori: è stata licenziata, e si è rivolta a un avvocato. «Come conseguenza dello stress e del trauma subiti, la signora Anderson ha perso il sonno, è dovuta ricorrere alle cure di un professionista e soffre di ulcera», sostengono i suoi legali. Ora sarà il giudice Samuel Alba a decidere sulla vicenda.