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Decreto femminicidio: alcuni spunti di analisi e riflessione

Pubblichiamo qui di seguito la trascrizione dell’intervento fatto da una compagna di MeDeA nel corso di un’iniziativa che si è tenuta in Valsusa qualche mese fa organizzata insieme alle DonneInMovimento. Purtroppo l’audio registrato è andato perso, ma speriamo – anche con la scrittura – di essere in grado di restituire la ricchezza degli spunti di analisi proposti in quella giornata.

***

L’estate scorsa (2013),durante incontri estivi tra le donne della Valle o che la Valle frequentano con assiduità,venne espresso il desiderio – anche alla luce di quanto accadde alla compagna pisana durante un suo fermo – di proseguire quanto abbozzato l’anno precedente in occasione della due giorni del 25 novembre (Violenza sulle donne, violenza sulla terra), con la volontà di costruire un momento  più assembleare, più discorsivo, in cui ognuna portasse la propria esperienza, i propri pensieri su un fenomeno universale nello spazio e costante nel tempo,quale è la violenza maschile sulle donne.

Successivamente sono accaduti diversi gravi fatti che hanno rallentato, diradato il ritrovarsi e, in contemporanea, è stato emanato il famigerato decreto legge 14-08-2013 n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza” più conosciuto come “decreto femminicidio”, che, usato con ottima capacità mediatica e manipolativa, riduce la violenza di genere a specchietto per le allodole, col fine di introdurre e/o inasprire nel codice penale misure punitive e restrittive e travisa le problematiche strutturali del fenomeno.

Pensando a questa iniziativa avremmo voluto discutere tra noi, orizzontalmente, di una realtà che in quanto donne ci coinvolge in modo diretto e ,in particolare, come operatrice che si occupa in specifico di violenza sessuale, portare nella discussione comune non tanto e non solo le conoscenze e le  competenze tecniche, ma anche le difficoltà personali ed emotive che si attivano e che devi elaborare e superare se vuoi accogliere la donna offesa come PERSONA e non solo come vittima o come colei che “… in fondo se l’è cercata”, cioè non con i comuni stereotipo che riducono le donne sempre ad oggetto monco.

Invece ci siamo ritrovate a discutere nuovamente di una legge che usa strumentalmente il corpo delle donne, in questo caso con la violenza di genere,come fu per la legge 40 sulla fecondazione assistita, e come già avvenne in occasione dell’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ nel 2007, che utilizzò l’uccisione di Giovanna Reggiani per criminalizzare migranti, rom, etc.

Come affrontare, allora, questo cambiamento forzato, questo intralcio, questo ostacolo?

Con un intervento che sintetizzi alcuni punti del decreto legge e ne sottolinei le ambiguità in un’ottica

– non da esperta di leggi e codici,

– non da intellettuale che scrive e pubblica su carta e/o sul web analisi e commenti con linguaggio elaborato ed astruso- comprensibile solo all’interno della propria cerchia elitaria- autoreferenziale e fors’anche autoerotico,

ma da operatrice sanitaria che in tutta la propria ( concedetemi lunga)  esperienza di vita e di lavoro ha incontrato, ha lavorato, ha agito nella realtà della condizione femminile, inesorabilmente segnata dalla violenza maschile.

La violenza di genere è diventata uno strumento,anzi quasi un ‘brand’ ,un marchio di qualità, un segno di stile usato in modo becero sia da stilisti per le sfilate di moda(1) sia da partiti per raccogliere voti e consensi, sia dal governo per legittimare una politica repressiva e di ‘sicurezza’.

Nel d.l. 93 14-08.2013 sono, infatti, comprese misure per l’abolizione delle province ( capo IV), disposizioni per la protezione civile ( capo III), ovvero atti amministrativi, fino a normative “…di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la prevenzione e il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale” (capo II art.6-9), che  riguardano ed affrontano in modo repressivo le situazioni in Valle ed in altri luoghi di conflitto ed opposizione.

Venendo ad analizzare in particolare il Capo I “Prevenzione e contrasto della violenza di genere”, il decreto legge 

a) mira ad inasprire i mezzi di repressione penale nei casi di maltrattamento in famiglia, violenza sessuale ed atti persecutori;infatti prevede un aumento delle pene

 -se i maltrattamenti in famiglia sono perpetrati in presenza di minori;

 -se la violenza sessuale è su donna gravida;

 -se il fatto è ai danni di coniuge anche se separata o divorziata, o del partner (2)

Cioè : si riconosce come più grave l’offesa alla soggettività femminile quando la donna ricopre ruoli di moglie/madre, o comunque interno ad una coppia, ribadendo così una scissione gerarchica, ideologicamente definita, della persona-donna;

b) amplia per il reato di stalking le situazioni aggravanti ed le estende a quelle commesse dal coniuge o da CHIUNQUE con mezzi informatici o telematici.(2)

Viene qui sancito che lo stalking on line, attraverso il web, è più grave di altre forme di persecuzione ( è prevista una reclusione sino a 6 anni) in un quadro generale di demonizzazione dei social network : a quando la censura?

c) introduce l’irrevocabilità della querela di parte anche per minacce gravi e ripetute (come lo è per la violenza sessuale) o revocabile solo dopo al comparsa in giudizio, in cui la donna deve giustificare ad un giudice la sua decisione,sottoponendosi ad ulteriore umiliazione processuale(3)

Questa è un’arma a doppio taglio : sembra impedire che vengano adottate misure anche gravi come l’arresto, su denunce poi ritirate, sembra voler ‘proteggere’ la donna denunciante da ricatti e pressioni per ritirarla

                                               MA

nella realtà le donne che subiscono violenza e maltrattamenti, in genere protratti nel tempo, frequentemente ondeggiano, sono indecise, ritornano – e non solo per motivi materiale di non autonomia economica – in situazioni a rischio, per cui sono spaventate dal presentar denuncia sia per paura di ritorsioni da parte del persecutore, sia sia per timore dell’iter investigativo e processuale che devono percorrere.

L’irrevocabilità della querela porterà ad un aumento del silenzio?

Per la maggior parte delle operatrici dei centri antiviolenza la risposta è SI.

d) prevede tutta una serie di norme per la violenza definita domestica-dall’arresto in flagranza all’allontanamento da casa, all’ammonimento con sospensione della patente – anche  in assenza di querela di parte,ma solo su segnalazione non anonima ( del/la vicino/a di casa ad esempio) .

Domandiamoci : in quale inferno si ritroverà la donna se non aiutata e supportata? In questo contesto ,in questa realtà la donna è il soggetto debole e riconoscerlo è cosa ben diversa della costruzione per legge ,e non solo, di un immaginario di debolezza delle donne!

e)  prevede per le donne straniere il rilascio di permesso di soggiorno per motivi di protezione (art.4)

 f)  introduce la possibilità di gratuito patrocinio (art. 2 )

g) assicura una costante informazione alle parti offese inerente allo svolgimento dei relativi processi penali, con notifica e non solo con comunicazione. E’ un iniziale tentativo di ridurre la disparità riservata alla vittima rispetto all’imputato; attualmente ,infatti, la vittima può avere un solo difensore,mentre l’imputato più d’uno, la revoca o le modifiche delle misure cautelari vengono decise senza sentire la parte offesa e, prima del decreto, né la denunciante, né l’avvocato venivano informa ti della revoca ( neanche della scarcerazione!) con i rischi e gli accadimenti che si possono immaginare. Giudizio positivo, a patto che la notifica sia effettuata con le dovute cautele ,affinché la donna ( fatti realmente accaduti e non infrequenti) non si veda arrivare nella nuova residenza, magari presso nuovi datori di lavoro che nulla sanno del suo triste passato, un carabiniere in uniforme !

Infine è stato varato un “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere” che prevede

– azioni di intervento multidisciplinare a carattere trasversale (informazione, sensibilizzazione della collettività, formazione delle/gli operatrici/tori de dei media e della scuola);

– formazione di “tutte le professionalità” che entrano in contatto con i fatti di violenza di genere o stalking;

– potenziamento dei centri antiviolenza e di assistenza.

Per finanziare questo piano sono stati previsti 10 milioni di euro per il 2013,7 milioni per il 2014, e 10 milioni annui a partire dal il 2015 (art. 5 bis)

Ma tutti questi soldi, probabilmente insufficienti vista la scarsità e la povertà dei centri antiviolenza e delle case rifugio su tutto il territorio italiano, verranno erogati dallo Stato alle Regioni e da queste trasferite alle Province e ai Comuni e/o “ a soggetti gestori delle funzioni socio-assistenziali titolari dei centri antiviolenza”- cioè alla associazioni varie- su PROGETTO, ovvero non un finanziamento stabile a strutture pubbliche, ma il massimo di aleatorietà, di insicurezza nel tempo, scatenando concorrenza tra enti,associazioni e incrementando possibilità di gestione clientelare, a seconda della maggioranza partitica al governo e del potere delle varie lobbie, più o meno occulte, nelle varie amministrazioni.

Qui si apre il capitolo critico su chi, che cosa, quanti sono,che fanno i centri antiviolenza in Italia ed in Piemonte, che richiede un lavoro di inchiesta lungo e delicato che ci proponiamo di fare e di condividere nell’attuazione e nei risultati.

NOTE

(1)  24-10-2014 sfilata di abiti da sposa  dello stilista Gianni Molero,sul lago Miseno, comune di Bacoli (NA), “Finché morti non vi separi”,dove le modelle hanno sfilato con i volti e i corpi truccati vistosamente coperti di lividi e di sangue.

(2) “…(art.1 comma 3) All’articolo 612b-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

 a) il secondo comma è sostituito dal seguente :

‘La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è stata legata da relazione alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici ‘;

[di seguito]

(3) b) “ al quarto comma, dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti : ‘La remissione della querela può essere solo processuale: La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’art. 612, secondo comma.’

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