L’applicazione della legge 194 non è garantita e in moltissimi ospedali non si eseguono interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante non esista la possibilità dell’obiezione di struttura. L’articolo 9 della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) specifica chiaramente che il servizio debba essere garantito e che ogni struttura sia obbligata a offrirlo. Nonostante questo, moltissime strutture ignorano tale obbligo e a nessuno sembra interessare.
LAIGA – La Laiga è la Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/1978. Il suo intento è di garantire i diritti delle donne e quelli degli operatori della 194. I dati che hanno raccolto sul numero di obiettori di coscienza sono diversi dai numeri ufficiali, presentati dal Ministero della Salute nella relazione annuale sull’applicazione della 194. Sono numeri impressionanti, raccolti tra mille difficoltà e che ci rimandano una fotografia drammatica del fenomeno. Mi faccio raccontare da Anna Pompili, ginecologa della Laiga, quali ostacoli hanno incontrato e che cosa implicano numeri tanto alti.
NON CI SONO I REPARTI IVG – “I dati ufficiali del Ministero sono già drammatici: 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza e quindi non garantiscono il servizio IVG. Ma il quadro è ancora più drammatico di così, i numeri sono più alti e in molte strutture manca proprio il reparto di IVG”. Non solo: il primo ostacolo è stato il reperimento. La Laiga ha incontrato mille difficoltà nell’avere una risposta sui numeri degli obiettori in ciascuna struttura, dato ben più utile della generica percentuale regionale se vuoi decidere a quale struttura rivolgerti e calcolare dove il servizio dovrebbe essere garantito meglio. “I dati presentati dalla relazione ministeriale – continua Pompili – non corrispondevano alla nostra sensazione di operatori. Abbiamo allora cercato di capire. Rintracciare i numeri per struttura è stato impossibile. La scusa è stata: si tratta di dati sensibili. Naturalmente non volevamo sapere i nomi degli operatori sanitari, ma soltanto il numero di obiettori in modo da valutare il funzionamento del servizio IVG”. Si tratta di dati sensibili è stata la risposta dell’Istat e quella delle direzioni sanitarie. “Abbiamo chiamato ospedale per ospedale, ma è stato altrettanto inutile”.
LA FORMAZIONE – La Laiga allora ha raccolto i dati con uno sforzo capillare e “ufficioso”. “Chiedendo ai nostri colleghi, uno per uno – mi racconta Pompili. Ecco il risultato. Primo: c’è un dato non considerato dalla relazione parlamentare, ovvero che un gran numero di ospedali sembra ignorare l’esistenza della legge. Nel Lazio, in 10 ospedali su 31 non esiste il servizio IVG. In Lombardia, in 37 su 64. La cosa più grave è che il Sant’Andrea di Roma, per esempio, è un ospedale universitario. Disattende il dettato della legge non solo per l’articolo 9 – e pretendendo l’obiezione di struttura – ma anche l’articolo 15, cioè quello sulla formazione dei giovani medici”. Il Sant’Andrea non insegna cioè ai futuri ginecologi né la legge né la pratica medica. Questo significa che gli specializzandi e i futuri medici non sapranno come ci si comporta di fronte a un aborto, nemmeno agli aborti spontanei. “Si usa una tecnica vecchia invece che l’isterosuzione. Siccome è identificata come tecnica per l’IVG non viene usata, è stigmatizzata anche la procedura medica. E allora si ricorre al raschiamento, che è una modalità più invasiva e aggressiva, e gravata da complicazioni”.
QUALCHE NUMERO – Tra gli ospedali con i numeri più alti di obiettori di coscienza ci sono: OO. Riuniti Borgomanero (Novara), 10 su 11; San Gerardo (Monza), 21 su 23; Ospedale Civile (Como), 18 su 20; Ospedali Civili Riuniti (Venezia), 8 su 10; A.O. Villa Scassi (Genova), 12 su 15; Policlinico Umberto I (Roma), 39 su 40; Università Napoli (Napoli), 57 su 60; Ospedale Fazzi (Lecce), 18 su 21; Ospedale Civile (Cosenza), 15 su 16. Negli Ospedali Civili di Bosa, Ozieri e Businco (Sardegna) il 100% sono obiettori. Nel Lazio alcuni centri pubblici non eseguono l’IVG, come l’Ospedale Civile di Tarquinia e il San Benedetto di Alatri. L’alto numero di obiettori significa allungare i tempi di attesa e complicare l’accesso, soprattutto nelle città piccole, ove spesso c’è una sola struttura. In generale, raggiungerne un’altra richiede tempo e spostamenti che dovrebbero essere una scelta e non un obbligo dettato dalle circostanze.
OBIEZIONE DI STRUTTURA – Il fatto che esista l’obiezione di struttura – non prevista dalla legge – falsa anche il dato sugli obiettori. Spiega Pompili: “un ginecologo che lavora in una struttura dove il reparto IVG non esiste non ha nemmeno bisogno di dichiararsi obiettore di coscienza. Magari non lo sarebbe, ma cambia poco perché il problema proprio non si pone. È una zona d’ombra enorme. Alcune strutture ospedaliere cercano di rispondere alla domanda delle donne prendendo medici esterni a gettone, ma questi medici non possono eseguire le interruzioni tardive (io stessa sono una specialista convenzionata esterna). Esistono situazioni ancora più bizzarre, come a Latina: i ginecologi non obiettori ci sono, ma il primario non vuole che il reparto funzioni, e le IVG non si eseguono”. Questo illumina un altro problema che circonda l’applicazione della 194: le funzioni e le responsabilità dei vertici, che dovrebbero garantire il servizio e che a volte non fanno che aggravare una situazione già insoddisfacente.
ABORTI TARDIVI – Ovvero le interruzioni di gravidanza dopo i primi 90 giorni per ragioni di salute del feto o della donna, i cosiddetti aborti terapeutici. Per queste IVG lo scenario è ancora più drammatico, sia perché sono interruzioni decise in contesti emotivi dolorosi (dopo avere scoperto una grave patologia fetale, per esempio), sia perché i numeri di medici che li eseguono sono ancora più ridotti. “Il ministro avrebbe il dovere di comunicarci la migrazione delle donne: da provincia e provincia (a Frosinone o a Viterbo non si eseguono e devi andare a Roma), da regione a regione, ma anche extranazionale. Tante donne esasperate dalla situazione in Italia vanno in Spagna, in Francia, in Inghilterra o in Spagna. Non è ammissibile in un paese civile”.
INDAGINI PRENATALI – Alla difficoltà delle interruzioni tardive si aggiunge l’ipocrisia. Tanti medici obiettori eseguono indagini prenatali, nascondendosi dietro alla scusa che le indagini servono solo a conoscere. Letteralmente è vero, ma si vuole conoscere per poter poi esercitare una scelta. Questi medici invece non garantiscono l’eventuale scelta di interrompere una gravidanza. “Consegnano la rispostina e poi lasciano in balia di se stesse queste donne, che stanno già vivendo un’esperienza difficile. Molti di questi medici lavorano in ospedali cattolici – che per statuto non indirizzano nemmeno le donne a medici non obiettori – come il Gemelli o Villa san Pietro”. Aggiungo che le donna che non abortirebbero mai, in genere non fanno alcuna diagnosi prenatale. A che serve sapere? “Mi sembra immorale – commenta Pompili – guadagnare sulla salute degli altri per poi non garantire le scelte”. I medici che consigliano e poi eseguono le indagini prenatali non vogliono sporcarsi le mani con l’IVG.
MOZIONI – Pochi giorni fa in Parlamento sono state presentate ben 9 mozioni sull’applicazione della 194. “Quella presentata da SeL (a firma di Migliore e Nicchi) pone un problema importante: quello del possibile coinvolgimento di alcune strutture private nell’applicazione la legge”. Tra le richieste indirizzate al Governo, infatti, c’è quella di impegnarsi “ad attivarsi, nell’ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica”. Nel Lazio ci sono tantissime strutture private accreditate, che suppliscono alle carenze della sanità pubblica. “Perché succede solo in alcuni settori e non per la 194?”, domanda Pompili.
RU486 – L’ultimo capitolo di questa vicenda riguarda l’aborto farmacologico, la RU486. “Siamo al ridicolo. A parte alcune regioni virtuose – come la Toscana e l’Emilia Romagna – la RU486 non è disponibile. A Roma un solo ospedale offre la possibilità di scelta. Non ci scordiamo che la RU486 è in Italia dal 2009: dopo 4 anni siamo ancora in queste condizioni. È chiaro che sia un problema ideologico. Facilitare l’accesso all’IVG farmacologica significherebbe ridurre le liste di attesa, facilitare il servizio e questo disturba. Si sgonfierebbe il potere dell’obiezione di coscienza usata come arma per impedire e controllare. La scusa ufficiale è bizzarra: le donne sarebbero lasciate da sole. Io non dico che un sistema sia meglio dell’altro, non è questo il mio ruolo. Ma vorrei che la scelta fosse lasciata alle donne e che fosse garantita”.
io vivo in una regione dove abortire è impossibile e sono andata all’estero.