Di capannoni così è pieno l’intero paese, hanno detto.I terremoti non si possono prevedere, hanno detto.
Eppure, guardando il gruppo di lavoratori in tuta di San Francesco sul Panaro che si abbracciavano sgomenti dopo il crollo… eppure, ascoltando la testimonianza di chi ha cercato, invano, di tirar fuori un’operaia da sotto le macerie e dalla mano che arrivava a toccarle la schiena si è accorto che non respirava più…eppure, pensando alle fornaci delle ceramiche che non si possono fermare mai…eppure, chiedendoci come mai il sopralluogo per la verifica dell’agibilità delle strutture avvenisse con gli operai al lavoro all’interno e a ben nove giorni dal primo sisma…eppure, con gli occhi su volti in lacrime scuri di ben altri soli e su bocche che si lasciano scappare parole smozzicate sul lavoro che non c’è e sul lavoro per forza, nonostante la paura…eppure…
noi sappiamo.
Sappiamo che il controsoffitto di una scuola frana dopo un acquazzone sulle teste degli studenti e delle studentesse perché non ci sono i soldi nemmeno per la manutenzione ordinaria.
Sappiamo che ingabbiare un fiume, costringerlo sottoterra stretto dal cemento e dalle case e dalle strade di una città, vuol dire esondazione.
Sappiamo che se dalle pendici di un monte viene rasata via, letteralmente, la vegetazione e poi su quei terreni si costruisce per decenni senza alcuna pianificazione, allora pioggia vuol dire frana…eppure…
noi sappiamo.
Sappiamo di macchine che non si devono fermare mai, di capannoni che non stanno su, di lavoro a rischio che obbliga al lavoro col rischio…eppure…
… sventrare una montagna, distruggere un territorio e massacrare una valle intera non ha forse la stessa logica di un terremoto che non si può prevedere, no, certo, ma che, comunque, gli operai e le operaie tornino dentro i capannoni: le fornaci non si possono fermare. Mai. Mai?
avete menzionato Sarno, nell’articolo, ci tengo a ricordare che son passati 14 anni e le responsabilità sono ancora tutte da accertare.decine di morti, vergogna!
diffondiamo l’invito a non fare la parata del 2 giugno: non armi ma soldi alle zone colpite dal territorio.