“… pochi possidenti, molti posseduti; pochi giudicano, molti sono giudicati; pochi quelli che consumano, molti sono consumati; pochi gli sviluppati, molti i travolti. E i pochi, sempre meno. I molti, sempre più: in ogni paese e nel mondo… cinque secoli fa, il 12 ottobre 1492, nacque un sistema che ha mondializzato lo scambio ineguale e ha fissato un prezzo al pianeta e al genere umano. Da allora trasforma in fame e denaro tutto ciò che tocca. Per vivere, per sopravvivere, ha bisogno dell’organizzazione diseguale del mondo…”
Eduardo Galeano
Nel luglio del 2010, a Istanbul, in occasione della sesta edizione del Forum Sociale Europeo, un corteo di migliaia di donne invade le strade dello shopping ricco della capitale turca: sono arrivate da oltre 30 paesi diversi, dalla Palestina al Kurdistan, dall’Iran all’Italia e tra loro si impongono le operaie turche del gruppo Desa, che lavora per i grandi marchi della moda come Prada, licenziate in massa perché chiedevano contratti regolari, orari e condizioni lavorative dignitosi, sicurezza sul lavoro; queste donne mettono al centro dei loro canti e dei loro slogan la violenza, prima causa di morte per tutte in ogni parte del mondo, la spinta a tornare a casa, come rinchiuse nei ruoli tradizionali di mogli e madri, la salute dei propri corpi e naturalmente il lavoro.
Durante il Forum, anche per iniziativa delle delegate della Marcia Mondiale delle Donne, rete femminista internazionale contro violenza e povertà che raccoglie circa 6000 associazioni di donne, collettivi e movimenti sociali in 150 paesi del mondo, le militanti della rete greca della Marcia mettono al centro delle riflessioni la questione della precarizzazione della vita, dal lavoro alle relazioni alla salute, e sono proprio loro a far irrompere, nella discussione politica femminista, il discorso sul debito.
In realtà già negli anni ’90, a partire dalle riflessioni di Mariarosa Dalla Costa, Silvia Federici, Andrée Michel e Inaìa Carvalho sulle politiche del debito in Africa, Brasile e Venezuela era stato sottolineato il nesso tra crisi, crisi economica, condizione femminile e pauperizzazione dei territori e dei popoli; ma la proposta delle militanti greche ha in sé un elemento di novità straordinario, vale a dire rendere pratica, continua e concreta una traccia di analisi, uno spunto di lotta mettendo, inoltre, al centro dei ragionamenti l’occidente ricco, l’Europa.
L’8 marzo del 2011 la prima grande manifestazione in cui debito e sviluppo sono finalmente posti come fattori determinanti per la condizione e il lavoro femminile, in un momento in cui, per citare Dalla Costa, le donne, responsabili storiche della riproduzione, divengono punte avanzate di denuncia, iniziativa, contrapposizione.
Una forza trainante che porta all’incontro di Atene del maggio 2011, il cui focus è sulle conseguenze della crisi del debito sulla vita quotidiana delle donne e che culmina con il meeting internazionale di Tessalonica, a sancire la nascita ufficiale della rete Donne contro il debito e le misure di austerità.
Abbiamo raccolto e discusso gli interventi di Sofia Sakorafa, deputata indipendente eletta ad Atene per il Pasok che si è più volte rifiutata di votare il piano di tagli imposti alla Grecia e che ha lucidamente denunciato come le misure di austerità lasceranno dietro di sé solo rovine, compiendo il piano franco-tedesco non tanto delle “due Europe” quanto piuttosto di veri e propri protettorati in alcune zone dell’area euro; di Maria Lucia Fattorelli, brasiliana, rappresentante della Commissione di controllo del debito dell’Ecuador e del Brasile, nonché parlamentare, che ha sottolineato come siano fabbricate e messe consapevolmente in circolazione vere e proprie menzogne tendenti a dimostrare come l’unica via d’uscita per la crisi del debito, a cominciare dalla Grecia, risieda nel sottostare alle imposizioni del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea; e infine il contributo di Sonia Mitralis, rappresentante sindacale degli insegnanti, che ha con forza evidenziato come a fronte di iniziative costantemente difensive, siano state per prime le donne, in Grecia, in quanto per prime attaccate dalla crisi attuale, a dare impulso ai movimenti di lotta contro il debito, movimenti che si pongono come autenticamente sociali e di base.
Vi proponiamo quindi, dopo averla tradotta, appunto un’intervista a Sonia Mitralis, datata 13 novembre, e pubblicata sul sito della rete Donne contro il Debito, dal titolo indicativo ed evocativo: “L’urgenza di un movimento indipendente di donne contro il debito e le misure di austerità”.
Vi segnaliamo, prima di lasciarvi alla lettura, alcuni passaggi che consideriamo nodali anche perché si tratta di temi su cui le femministe, storiche, sociologhe ed economiste, hanno e stanno discutendo molto, il gruppo di Medea compreso: la questione della gratuità, o meno, del lavoro domestico svolto dalle donne, il legame tra crisi, sessismo e abuso del corpo delle donne, ed infine la consequenzialità necessaria tra politiche neoliberiste e ritorno della donna a casa…in particolare su quest’ultimo aspetto il dibattito è forte: legame in due tempi o piuttosto necessaria premessa di ogni politica neoliberista?
A seguire, alcuni riferimenti per approfondimenti, letture, analisi:
Quaderni Viola, n.4 Sebben che siamo donne, Ed. Alegre 2011
AA.VV. Donne e politiche del debito, Franco Angeli 1995
www.cadtm.org
L’intevista a Sonia Mitralis:
Perché un movimento indipendente di donne contro il debito e le misure di austerità in Grecia?
Ebbene, perché la crisi del debito e le misure di austerità che ne risultano di conseguenza impattano con estrema priorità sulle donne, in ogni aspetto della nostra vita. Allora, se noi donne non ci autorganizziamo per resistere, nessun altro lo farà al nostro posto…
E quindi, perché affermare che la crisi del debito e le misure di austerità connesse impattano specialmente e in tutta priorità sulle donne?
È perché l’austerità neoliberista al tempo della crisi del debito mira del tutto specificatamente contro ciò che resta dello Stato Sociale e dei servizi pubblici. Attraverso la demolizione o la privatizzazione dei servizi pubblici, lo Stato si sbarazza dei suoi obblighi di protezione sociale che aveva assunto nei confronti diretti dei cittadini e delle cittadine per trasferirli, nuovamente, sulla famiglia. È così che la cura dei bambini, dei malati, delle persone anziane e non autosufficienti e persino dei giovani in condizione di povertà e disoccupati, passa dalla responsabilità dello Stato a quella della famiglia, e questo accade, in più, in modo completamente gratuito!
D’altro canto, la nozione di famiglia è generale ed astratta. In realtà, e tutti lo sanno, all’interno della famiglia sono le donne che portano quasi esclusivamente il carico – e senza che esse siano in alcun modo remunerate – di tutti quegli obblighi sociali fondamentali dello Stato.
Allora, con una sola pietra si mettono a segno due colpi: da un lato lo Stato neoliberista si sbarazza definitivamente dei suoi obblighi sociali deficitari, che, si dice, causano i deficit e quindi il debito pubblico, e dall’altro ci obbliga ad assumerceli da noi stesse lavorando in modo totalmente gratuito.
In altri termini, le donne sono contrarie a sostituirsi o piuttosto a rimpiazzare lo Stato Sociale.
Si, ma c’è di più di questo. Noi siamo il bersaglio di tutte queste politiche di austerità per una ragione supplementare, che non è altro che il rovescio della medaglia rispetto al discorso di prima: noi siamo toccate per prime anche dai licenziamenti di massa che accompagnano lo smantellamento o la privatizzazione dei servici pubblici di protezione sociale da ogni parte, per la semplice ragione che noi donne costituiamo la grande maggioranza dei lavoratori salariati di questi settori.
La conclusione è semplice e riguarda centinaia di migliaia di dipendenti nel nostro paese: non soltanto noi siamo le prime ad essere licenziate senza assolutamente alcuna speranza di riassunzione, soprattutto se siamo madri o in età procreativa. Non soltanto noi rimaniamo in massa disoccupate, soprattutto le giovani che non hanno alcun avvenire professionale. Non soltanto noi donne siamo condannate alla povertà e alla precarietà, ma in più a noi toccano dei compiti e dei lavori che appartengono allo Stato, con tutto quello che ciò implica a livello di fatica, stress, invecchiamento precoce, lavoro non pagato, spese supplementari comprese.
Si, ma ci sono anche quelli che dicono, come d’altra parte fa la Chiesa, che in questo modo la donna ritorna alla sua vera missione, che consiste nel consacrarsi alla casa, alla famiglia.
Certo, non soltanto lo dicono ma lo gridano forte e chiaro perché hanno bisogno che la loro politica inumana fatta di Memorandum abbia una copertura ideologica! Si tratta di una propaganda al ribasso che fa ricorso ai più sessisti e reazionari luoghi comuni, utili a coprire la ferocia della politica neoliberista.
D’altra parte, si assiste oggi a un evento apparentemente paradossale: l’alleanza tra le nuovissime politiche capitaliste, vale a dire la violenza delle politiche di austerità, e i fautori di teorie oscurantiste che appartengono a un’altra epoca e che vogliono persuaderci che è la natura della donna a imporle d’essere richiusa in casa al fine di occuparsi esclusivamente dei suoi compiti, vale a dire madre e/o sposa nella famiglia.
Si tratta del matrimonio tra i Memorandum del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea, che vogliono e pretendono di modernizzarci, con i bastioni fondanti del patriarcato, nella sua veste più anacronistica e misogina, ossia Chiesa ed estrema destra.
Si tratta soltanto di propaganda o vi son conseguenze pratiche per le donne?
Certo, non si tratta solo di propaganda o di teorie. Il peggio è che noi assistiamo a conseguenze catastrofiche molto concrete per la nostra vita quotidiana. Per parlar chiaro, tutto questo tornare indietro, verso un passato lontano è accompagnato da misure che mirano a togliere alle donne diritti e conquiste ottenuti grazie alle lotte degli ultimi decenni.
La sacra alleanza tra Capitalismo e Patriarcato abolisce di fatto il nostro diritto al lavoro e quindi all’indipendenza economica. Ci costringe di nuovo a una vita senza autonomia e senza diritto a scegliere.
Ci tratta come schiave gravate di compiti e di funzioni che aveva prima in carico lo Stato Sociale, e tutto perché, pretestuosamente, questo è nella “natura” della donna, servire a guisa di giardino d’infanzia, di ospizio, di ospedale, di ristorante, di lavanderia, di asilo psichiatrico, di sostegno scolastico e anche di sostegno per i disoccupati della famiglia.
E tutto questo totalmente gratis senza alcuna remunerazione, senza il minimo riconoscimento perché è nel sangue della donna stessa questa tendenza a sacrificarsi per gli altri avendo come risultato che non ha più tempo libero per respirare, per occuparsi della propria persona, per partecipare attivamente alla vita pubblica.
Tutto ciò dovrà del resto costare molto caro alle donne…
Si, certo. Non è solamente un fatto di tensione quotidiana che costringe a un logoramento irrimediabile, a un invecchiamento prematuro, è che tutto questo sessismo intorno alla pretesa natura femminile va di pari passo con il trattare la donna da essere inferiore, donna il cui corpo è considerato sempre disponibile e sulla quale è permesso a qualsiasi uomo di infierire. Non è quindi azzardato considerare come i casi di violenza contro le donna, già innumerevoli, aumentino e si moltiplichino nell’epoca del capitalismo dei Memorandum.
È per tutte queste ragioni, entro altre ancora più numerose, che la conclusione è semplice: la nostra resistenza contro questa offensiva agita contro di noi dal governo della Troika e dei Memorandum passa attraverso la nostra autorganizzazione e lo sviluppo di in movimento indipendente e autonomo di donne contro il debito e contro l’austerità.
E questo non solamente perché nessun altro può farlo al nostro posto, ma anche perché Capitalismo e Patriarcato sono talmente imbrigliati l’uno con l’altro che ogni forma di lotta contro uno solo di questi tiranni sarà inutile se non sarà ugualmente condotta anche contro l’altro.
Molto importante, molto condivisibile. Sono pochissime le voci che ricollegano il discorso della crisi alla questione della gender justice. A questo proposito vi segnalo un mio contributo scritto nel 2004 per un seminario dell’associazione Rosa Luxemburg che più o meno anticipava proprio queste analisi http://www.terrelibere.org/terrediconfine/la-femminilizzazione-della-povert
Grazie, un abbraccio.
Floriana Lipparini
Molto importante, molto condivisibile. Sono pochissime le voci che ricollegano il discorso della crisi alla questione della gender justice. A questo proposito vi segnalo un mio contributo scritto nel 2004 per un seminario dell’associazione Rosa Luxemburg che più o meno anticipava proprio queste analisi http://www.terrelibere.org/terrediconfine/la-femminilizzazione-della-povert
Grazie, un abbraxxio.
Floriana Lipparini