ROMA, 15 OTTOBRE 2011.
Una traccia da seguire. Uno spunto di riflessione. Una trama da decifrare. Un invito alla lettura.
da Zygmunt Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, 2005
Le “classi pericolose” originarie erano costituite da gente in eccesso, temporaneamente esclusa e non ancora reintegrata, che l’accelerazione del progresso economico aveva privato di utilità funzionale, mentre il rapido polverizzarsi delle reti di vincoli le aveva tolto ogni protezione. Invece le nuove “classi pericolose” sono quelle riconosciute come non idonee alla reintegrazione e dichiarate non assimilabili, poiché si ritiene che non saprebbero rendersi utili neppure dopo una “riabilitazione”.
Non è corretto dire che siano in eccesso: sono superflue ed escluse in modo permanente… si tratta di uno dei pochi casi di “permanenza” che vengano non solo consentiti ma anche attivamente incoraggiati dalla società liquida.
Al giorno d’oggi, l’esclusione non viene percepita come il risultato di una momentanea e rimediabile malasorte, ma come qualcosa che ha tutta l’aria di essere definitivo.
Inoltre, l’esclusione tende ormai ad essere una via a senso unico. È poco probabile che si ricostruiscano i ponti bruciati nel passato.
Sono l’irrevocabilità del loro sfratto e le scarse probabilità di ricorrere contro la sentenza a fare degli esclusi di oggi delle “classi pericolose”.
L’esclusione dal lavoro viene vissuta più come una condizione di superfluità che non come la condizione di chi è dis- occupato (termine che indica una deviazione dalla regola, un inconveniente temporaneo a cui si può porre e si porrà, rimedio): equivale ad essere rifiutati, marchiati, condannati come superflui, inutili, inabili al lavoro e condannati a restare economicamente inattivi.
Essere esclusi dal lavoro significa essere eliminabili, e forse già eliminati una volta per tutte, designati come scarti del progresso economico, che in fin dei conti si riduce a questo: fare lo stesso lavoro e ottenere gli stessi risultati economici, ma con meno forza lavoro e perciò con costi inferiori ai precedenti.
Oggi, solo una linea sottile separa i disoccupati, specialmente quelli cronici, dal precipizio, dal buco nero dell’underclass: gente che non si addice a nessuna legittima categoria sociale, individui rimasti fuori dalle classi, che non svolgono nessuna delle funzioni riconosciute, approvate, utili anzi indispensabili, a cui adempiono i “normali” membri della società; gente che non contribuisce alla vita sociale: la società ne farebbe volentieri a meno, e avrebbe tutto da guadagnare a sbarazzarsene…
Non meno sottile la linea che separa i superflui dai criminali; underclass e “criminali” sono due sottocategorie degli “elementi antisociali”, che differiscono l’una dall’altra più per la classificazione ufficiale e il trattamento che ricevono, che non per il loro comportamento e atteggiamento.
Non diversamente da quelli che sono esclusi dal lavoro, i “ criminali” non vengono più visti come provvisoriamente esclusi dalla normalità della vita sociale – e perciò tenuti a essere “rieducati” “riabilitati” e “restituiti” alla comunità alla prima occasione – ma come definitivamente respinti ai margini in quanto inadatti a essere socialmente riciclati; individui a cui si deve impedire di combinare guai, tenendoli lontani dalla comunità rispettosa della legge.