La consapevolezza di scardinare il continuum della storia è propria delle classi rivoluzionarie nell’attimo della loro azione (…) Nella Rivoluzione di Luglio è accaduto un episodio in cui questa coscienza si fece ancora valere. Giunta la sera del primo giorno di scontri, avvenne che in più punti di Parigi, indipendentemente e contemporaneamente si sparò contro gli orologi dei campanili. Un testimone oculare, che deve forse alla rima la sua divinazione, scrisse allora: Qui le croirait! On dit qu’irrités contre l’heure De nouveux Josués, au pied de chaque tour, Tiraient sur les cadrans pour arreter le jour (Chi lo crederebbe! Si dice che, irrirati contro l’ora, dei novelli Giosuè, ai piedi d’ogni torre, sparavano sui qudranti per arrestare il giorno).
W. Benjamin, Sul concetto di storia
Le interpretazioni che si rincorrono da domenica, riguardo ai lunghi scontri intorno all’area militarizzata della Maddalena, sono bidimensionali come la pletora di immagini stampate, mostrate, postate ovunque in questi ultimi giorni. Immagini da fuori (la parzialità istituzionalizzata e mendacemente neutrale dei media ufficiali) e da “dentro” la lotta e gli scontri. Sarebbe semplicistico affermare che delle immagini si può fare un uso buono o un uso cattivo. Nella società dello spettacolo esse si accumulano, come il Capitale, costituendo un’iperrealtà autonoma mai corrispondente alla somma delle realtà parziali rappresentate dai filmati e dalle foto. Dunque “giocare” con le immagini è sempre rischioso, perfino quelle prese da dentro gli scontri: esse finiscono per vivere una vita propria, e quando rompono il cordone ombelicale con chi le ha prese, per finire a navigare in rete, perlopiù, entrano nel circolo vizioso e riduttivo dell’interpretazione, che spesso è manipolata a monte dal Buon Senso Comune indotto negli ultimi 40 anni almeno dai media di massa. E’ successo anche in questi giorni, con il Tg3 che mostra immagini amatoriali prese dal Web, filmate, ritengo, da un video-maker di movimento, e utilizzate per mostrare soprattutto la cieca violenza dei manifestanti. Si ripete un clichè pericolosissimo, nel nostro Paese: teoremi mediatici su infiltrazioni terroristiche, teoremi polizieschi e tribunalizi su fantomatiche associazioni a delinquere…. in una parola, Tensione.
La Tensione con la sua Strategia, che divide i movimenti in una parte sana, democratica, ed una cattiva, cancerosa, disinteressata alle ragioni specifiche della lotta, e che sarebbe lì, infine, solo per danneggiarla, quella lotta, “facendo gli interessi” di repressori e speculatori. Una cancrena da esorcizzare, demonizzare, isolare.
Ma c’è una cosa che le molte immagini di questi giorni, prese separatamente – così come sono, per natura separate- non dicono. Qualcosa, appunto, che può essere in massima parte più detto che visto, in un montaggio di immagini e parole che, a questo punto, si rivela di vitale importanza per la lotta della Valsusa. Perchè domenica è accaduto qualcosa di straordinario, una rottura vera negli ultimi 30 anni di storia italiana, una spaccatura nel becero continuum socio-culturale dell’Italia primo paese al mondo per telefoni cellulari pro capite. E’ accaduto che migliaia di persone, che non potevano conoscersi tutte, da luoghi diversi e anche molto lontani, di età differenti, e lingue, mestieri o disoccupazioni differenti, con visioni politiche persino antitetiche, a volte, hanno marciato, lungo tre percorsi differenti, dirette ad un unico punto, per accerchiare quella che fino a una settimana prima era stata zona temporaneamente autonoma e liberata. Con l’unica differenza, all’interno, costituita dalla forza fisica necessaria per resistere, durante l’assedio al fortino militare – con cui solo lo Stato riesce, in quei luoghi, ad imporre violentemente i propri interessi – alla violenza legalizzata, premeditata, organizzata, di “stampo militare ” (questa si, davvero) di Celere, Carabinieri e Guardia di Finanza.
Migliaia di persone indipendentemente e contemporaneamente hanno rotto gli indugi della miope e “sensata” contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”, della pericolosa ed eversiva logica dell’infiltrazione per partecipare, tutte insieme, ad una delle più grandi giornate di resistenza e autodeterminazione degli ultimi decenni. In barba agli scribacchini del potere, subito pronti a rispolverare l’immagine dei fantomatici Black Block (i quali sono da sempre inafferrabili, a differenza dei compagni e delle compagne spesso colpiti/e dalla repressione, per il semplice fatto che NON ESISTONO). Però è vero, violenza eversiva e nera se n’è vista molta: ad esempio i lacrimogeni al CS, banditi dalle convenzioni internazionali in caso di guerra e che nel nostro paese sono usati copiosamente per la “gestione dell’ordine pubblico”, sparati prendendo la mira nemmeno più per gasare ma per colpire direttamente, come palottole incandescenti, i/le manifestanti. Perchè è così, la nostra polizia è fascista, i nostri militari, per la stragrande maggioranza, sono fascisti, e non intendo il fascismo come categoria metafisica (perchè sono sottoproletari o i celerini di pasoliniana memoria…), no, sono proprio fascisti veri. E si, ci sono stati anche dei tentati omicidi caro ministro delle Interiora- le nostre forze dell’ordine, armate di “armi proprie” di tutto punto, tiravano i sassi, come fascistelli qualunque, rischiando di ammazzare le persone che stavano sotto all’orrido cavalcavia dell’autostrada. E, infine, è talmente anomalo, storicamente, il nostro paese, talmente incapace, a livello di massa, di costruire una memoria storica sana, che un giornale al servizio della paura e dell’insofferenza etnica, dell’insicurezza e della tensione come Cronaca Qui, la faccia sporca de La Stampa a soli 20 centesimi in più, può pubblicare questa foto senza che nessuno dica niente, che nessuno la noti. E invece è importante osservarla bene.
E’ il ritratto di un vero macho italico, un duro Cacciatore di Sardegna, di quelli che vanno a dare la caccia ai latitanti e che, fin da prima del 3 luglio, erano attestati nell’area della Maddalena. La foto si riferisce all’azione, da parte del corpo in questione, di bonifica e ricerca di armi improprie e materiali offensivi lasciati dai manifestanti nei boschi dopo la manifestazione. Il viso è oscurato ma, come nei peggio film di guerra, mostra il cranio bellicosamente rasato e, meraviglia finale, una massiccia X nera sbuca chiaramente da sotto la divisa, sul nerboruto braccio sinistro. La X sta per decima, decima MAS, l’unità militare speciale della marina italiana capitanata, durante la seconda Guerra Mondiale, dal golpista Junio Valerio Borghese, legato agli ambienti dell’eversione nera. Deve il nome alla Decima Legione Romana, la prediletta di Giulio Cesare, secondo il delirio della retorica imperialista di Mussolini. Dopo l’8 settembre la X Mas confluì in gran parte, sempre alla guida di Borghese, nella Repubblica Sociale Italiana. Da decenni è uno dei miti fondativi dell’estrema destra italiana. La violenza di stampo eversivo cui si riferiva il nostro ministro delle Interiora non sarà mica questa, per caso?
V.