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Note di Resistenza

...scrisse Elsa Morante…e di chi parlava?

“Il capo del Governo si macchiò ripetutamente, durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.

La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente a causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano: ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.”

…scrisse Ada Gobetti…

“Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento, costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana.”

..nel 1946 le donne italiane esercitavano per la prima volta il diritto di votare..

“Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un’autorità silenziosa e perentoria…Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore, si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari…”

Scriveva Anna Garofalo, giornalista, curatrice di una rubrica radiofonica nel 1944. “Parole di donna” fu la prima a rivolgersi ad un vasto pubblico femminile affrontando i nuovi temi dell’emancipazione.

Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia

“…Appena arrivata a casa Ondina si accorge di essere braccata. Un carabiniere viene a cercarla e per non essere arrestata è costretta a fuggire dalla finestra.

A questo punto non rimane altro che passare alla clandestinità e combattere come si diceva allora “sul terreno”. Ciò significa appoggiare le pattuglie che dalla montagna scendono verso i centri abitati per compiere azioni militari e colpi di mano. Ondina è fra i quadri del “Battaglione Triestino d’Assalto” addetta ai collegamenti.

Tra le azioni la più eclatante fu l’eliminazione della dell’ex partigiano “Blecchi” divenuto collaboratore dei nazisti. Con la sua opera di informatore aveva contribuito all’arresto e all’uccisione sia di partigiani che di civili che simpatizzavano per la Resistenza.

Nel gennaio 1944 il comando del “Battaglione Triestino” decise l’eliminazione di “Blecchi” incaricando Plinio Tommasin, Lojze Andric e Egone Settomini di portare a termine l’operazione. Ondina e Elio Tamburin vennero incaricati di seguire le tracce di “Blecchi” e segnalarne la posizione al gruppo incaricato di ucciderlo.

Si tratta di una operazione pericolosa. Si tratta di appostarsi e seguire le tracce della spia ed aspettare il momento opportuno per agire. Qualcuno informa i carabinieri dei movimenti del piccolo nucleo partigiano e una pattuglia li intercetta. Nello scontro a fuoco che ne segue Lojze Andric viene ucciso. Ondina nel suo diario scrive che l’agguato è avvenuto su “denuncia della Chiaradia”.

Elio e Ondina continuano a rimanere sulle tracce di “Blecchi” e finalmente lo individuano nel pomeriggio del 29 gennaio a Vermegliano. La notizia arriva a Tommasin e Settomini che montati in bicicletta raggiungono il paesino. Arrivati vicinissimi senza smontare dalle biciclette scaricano le pistole su “Blecchi”, sono certi d’averlo ucciso perché lo vedono cadere a terra. In realtà la spia indossa una specie di corazza che lo protegge dai colpi mortali. Ancora una volta è Ondina a reperire le informazioni: “Blecchi” è stato portato all’ospedale di Monfalcone. Un infermiere simpatizzante dei resistenti fa sapere che un capitano medico tedesco ha operato la spia che ora si trova fuori pericolo.

Il Comando decide che l’operazione va conclusa, viene inviato di rinforzo Oliviero del Bianco. Nella notte del 2 febbraio il gruppo entra in azione. Fatta irruzione nella stanza di ospedale dove si trova “Blecchi” i partigiani lo trovano con la madre che tenta di dare l’allarme. Ne nasce una colluttazione e poi gli spari che uccidono sia “Blecchi” che la madre. Mentre il gruppo si ritira vedono alzarsi fiamme dall’aereoporto di Merne.

Il 20 gennaio 1944, mentre Ondina è impegnata nella operazione contro “Blecchi”, cinquantaquattro militari della Repubblica di Salò, tutti originari della Sardegna disertano unendosi al “Battaglione Triestino”. Si tratta di uomini ben armati e con esperienza, li comanda Luigi Podda detto “Corvo” di Orgosolo. Il Comando del “Battaglione Triestino” decide di far buon uso dei nuovi arrivati per riaffermare la sua presenza sul territorio.

All’alba del 3 febbraio il vicecomandante Riccardo Giacuzzo con un gruppo di uomini attacca l’aereoporto di Merne. A colpi di bombe a mano e bottiglie incendiarie vengono distrutti otto aerei tedeschi. Durante i combattimenti muoiono Carmine Congiargiu di Orgosolo e Salvatore Piras di Dorgali. Le fiamme che Ondina e i suoi compagni vedono mentre fuggono dall’ospedale di Monfalcone sono quelle degli aerei tedeschi che bruciano…”

Adele Delponte aveva 18 anni nel 1943

Era il 1939: la guerra era già scoppiata ma da Milano era lontana e ancora vi si potevano vivere i propri 15 anni con serenità e guardare il mondo con occhi curiosi. Tuttavia il fronte pian piano si avvicinava…

“…Mio padre diceva che tutto era iniziato con Stalingrado: da lì hanno cominciato a cambiare le cose, poi sono venuti gli scioperi della primavera, lo sbarco in Sicilia e il 25 luglio. Come eravamo contenti! La gente ha cominciato trovarsi, a parlare più apertamente. Così ho scoperto che le mie più care amiche avevano anche loro dei genitori antifascisti. Ma poi è venuto l’8 settembre.

Vicino a Niguarda, dove abitavo, c’erano delle casermette dell’esercito. I soldati hanno lasciato le caserme e  vagavano disperatamente per il quartiere in cerca di qualcuno che li liberasse della divisa. La gente, tutta la gente, ha iniziato a recuperare quello che aveva e in breve tempo, nonostante la penuria generale, sono saltati fuori abiti, scarpe, anche biciclette e carrette perché quei ragazzi potessero tornare a casa.

Io tenevo i collegamenti tra Milano e il nostro nuovo paese, che era abbastanza vicino alle zone in cui operavano i partigiani. I soldati ci diedero le armi: le avevano portate via dalle caserme e ce le consegnarono, ma non si sapeva dove nasconderle. I tedeschi le cercavano. Mio padre le nascose nel cortile di casa nostra: molti lo sapevano, ma nessuno fece denuncia, persino il maresciallo dei carabinieri tacque.

Presto vennero a prenderle quelli che andavano in montagna. Sì perché molti ragazzi andarono via. Io e le mie amiche entrammo nei Gruppi di difesa della donna. Si formarono subito: certo non è che ci si iscrivesse, ma si faceva quello che c’era da fare.

Per evitare i bombardamenti, frequenti nella zona nord della città vicina alla ferrovia e agli stabilimenti di Sesto S. Giovanni sfollammo a Giussano.

Portavo volantini, che prendevo in una tipografia in zona Garibaldi, oppure cibo, vestiario e li portavo a destinazione in bicicletta. Mi fanno ridere quando dicono che la resistenza fu una cosa di pochi, una guerra tra due fazioni opposte. Non fu così. Tutti erano con noi e soprattutto contro la guerra. Come adesso.

Gli ufficiali tedeschi si convinsero che ci doveva essere per lo meno la complicità dei ferrovieri in tutto questo e decisero di arrestare una coppia di anziani coniugi: un capostazione e sua moglie, che gestiva il bar della stazione. Ma il cuoco tedesco del comando li avvertì e loro riuscirono a scappare. Si rifugiarono da contadini dei dintorni, che però non potevano nasconderli, allora fecero il nome di mio padre. I contadini si mobilitarono: uno venne ad avvertirci, un altro prese il suo carro e lì portò da noi nascosti sotto della paglia, di notte, sfidando il coprifuoco. Era proprio il giorno dell’epifania del ’45. Noi li tenemmo nascosti fino alla fine della guerra: di giorno stavano nascosti in cantina e la notte salivano a dormire, altrimenti non avrebbero potuto resistere al freddo, che quell’inverno fu particolarmente intenso. Ora, quei contadini non erano militanti eppure rischiarono la pelle per salvarli…

…Ci fu quel comizio della Carnevale in piazzale Loreto. Qualche giorno dopo il 25, era il 27 aprile, mi sembra, continuavano a arrivare in città i partigiani e noi eravamo andate a vederli passavano da piazzale Loreto per andare in Duomo. Eravamo un bel gruppo di donne e lì su un camion Maria Piera Carnevale ci fece un comizio volante. Mi emozionò moltissimo sentir parlare una donna. Ci diceva che, visto che avevamo partecipato alla lotta come gli uomini, ci eravamo conquistate non solo la pace e la libertà ma anche la dignità di cittadine e che avremmo dovuto continuare a lottare per essere veramente libere, protagoniste della nostra vita e del nostro futuro…”

Posted in 25 aprile, resistenze, storie di donne.