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Il 25 aprile celebriamo ogni donna che si ribella!

“il tempo, il tempo, insomma, porta via…porta via la memoria, porta via le immagini, porta via un po’ tutto…ma come si fa a dimenticare? Non puoi dimenticare. Non puoi dimenticare perché noi abbiamo passato anni…anni atroci.” Giacomina Ercoli, partigiana

Parliamo di memoria, una memoria di sessanta e più anni, una memoria che si fa consapevolezza quanto più appare opaca e stanca, memoria che vogliamo riconsegnare nuovamente viva al futuro proprio in un’epoca in cui assistiamo con rabbia alla sistematica distruzione e distorsione di immagini, fatti e ricordi legati ad una fase cruciale della storia dell’Italia contemporanea, quale quella che corre dalla marcia su Roma alla caduta del regime fascista, dalla grottesca e sanguinaria appendice di Salò alla guerra di Liberazione e alla nascita dello stato democratico. Memoria che ci propone somiglianze e analogie con il presente che non dobbiamo e non possiamo sottovalutare, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda la donna, la sua collocazione e il suo peso nella società.

Di solito il discorso sulla partecipazione delle donne alla Resistenza tende a concentrarsi sulle diverse forme, sulle attività, gli spazi e i ruoli che le donne hanno praticato tra il 1943 3 il 1945, in montagna, nelle fabbriche, nelle città e nelle campagne, lasciando forse un po’ in ombra tutte quelle esperienze di opposizione quotidiana e resistenza politica alla costruzione di un ordine sociale attraverso il quale, dalla fine della I guerra Mondiale alla caduta della Repubblica di Salò, il regime fascista ha voluto determinare il destino delle donne.

Il fascismo è stato dichiaratamente nemico delle donne: prima ha teorizzato l’inferiorità femminile, per cui le donne sono da valorizzare solo entro i limiti loro imposti dalla Natura, per cui “la donna non pensa, è”…e se non pensa non può agire e se non agisce non può essere considerata responsabile di sé e quindi è da tenere sotto controllo, come “una bambina ignorante e capace di ogni sciocchezza”; poi ha ribadito quell’inferiorità praticamente, attraverso leggi, decreti e sentenze che hanno costituito la prassi del regime: si pensi alle politiche demografiche, o al codice di famiglia.

Chiesa e Fascismo hanno imposto alle donne ruoli ben precisi:madre esemplare, casalinga a vita, minorenne sotto tutela…e per chi si ribellava, anche con piccoli gesti, erano botte, confino, galera ed esilio.

Vorremmo ricordare Fedora Farolfi, di Imola,picchiata a sangue e lasciata a morire sulla strada per essersi rifiutata di fare il saluto fascista, e Angela Cremese, di Trieste, ammazzata per aver partecipato al funerale di un giovane operaio comunista ucciso dagli squadristi.

A distanza di sessanta anni e nonostante le lotte delle donne degli anni 60’ e 70’ le somiglianze, pur nella diversità del contesto sociale, economico e culturale, appaiono del tutto evidenti, e preoccupanti.

Facciamo riferimento per esempio al decreto del 1927 che dimezza i salari femminili, al Testo Unico del 1934 che allontana definitivamente le donne da alcuni impieghi pubblici e privati, al regio decreto che impedisce loro la partecipazione ai concorsi per posti direttivi nella scuola, al decreto del 1939 sulle assunzioni femminili, che riconosce esplicitamente alle donne solo le mansioni di maestra, dattilografa, telefonista, cassiera, cameriera, commessa e segretaria.

Le donne si oppongono e si mobilitano contro tutto questo: scioperano in tutta Italia le mondine, le tessili, le operaie, le mezzadre e le contadine.

Graziella Ronchi, impiegata in una manifattura, viene selvaggiamente picchiata per aver distribuito volantini in cui si chiedeva la parità salariale e il divieto di licenziare le operaie incinte.

Ma oggi? Il mese scorso è stato reso noto uno studio, in occasione di un convegno promosso dai sindacati confederali, secondo il quale le donne in Italia guadagnano in media il 20% in meno rispetto agli uomini, in alcuni ambiti fino al 52% in meno. Per quanto riguarda i settori di occupazione e il tipo di mansione, si può parlare tranquillamente di “segregazione”: 3 donne su 4 lavorano nella Pubblica Amministrazione, nella scuola, nella Sanità e negli altri servizi sociali, nell’industria manifatturiera e nella ristorazione…quindi maestre, commesse, segretarie, cameriere, come durante il Ventennio… e con la lettera di licenziamento già firmata in bianco in caso di maternità.

Non più lavoratrici ma esclusivamente madri: nel 1931 il nuovo codice di famiglia sancisce la totale subalternità della donna nei confronti dell’uomo, e nello stesso anno, perfettamente in accordo, allora come oggi, con l’Enciclica Quadragesimo Anno, Pio XI condanna il lavoro delle donne fuori dalle mura domestiche, bollandolo come “pessimo disordine che si deve assolutamente eliminare.

Nel dicembre del 1933 viene istituita la Giornata della madre e del fanciullo, le madri prolifiche vengono premiate con una somma di denaro mentre l’altoparlante scandisce non il loro nome ma il numero dei figli; sedici, diciassette, diciotto…

Nel 1937 vengono introdotte vere e proprie politiche familistiche per l’incremento demografico della nazione: sgravi fiscali, assegni familiari, pacchi dono a partire dal quarto figlio e agevolazioni per la casa.

Ci ricorda qualcosa?

Le bambine imparano a scuola il Decalogo della Piccola Italiana, che al punto 3 recita: “la Patria si serve anche spazzando la casa!” e si cimentano con materie quali economia domestica, puericoltura e floricoltura, ritmica e decorazione.

Ma le studentesse non hanno paura di esprimere opinioni del tutto in contrasto con la martellante campagna propagandistica del regime e, intervistate, ammettono di non provare alcun interesse per il lavoro domestico e di volere uno, al massimo due figli.

A Genova alcune ragazze vengono ricoperte in pubblico di fuligine e malmenate per aver ribadito ad alta voce tali convinzioni.

Le riviste e i giornali di regime, nonché lo stesso Mussolini in diversi discorsi ufficiali, definiscono la donna con espressioni eloquenti: fattrice di figli, robusta massaia, moglie e madre di soldati pronti al sacrificio, macchina da riproduzione e, ancora, produttrice di bambini per la nazione. Limitiamoci allora a ricordare, per continuare il parallelo con il presente, l’art. 1 della Legge 40 sulla fecondazione assistita, che consente appunto il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla legge stessa, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito.

Con una frase e giuridicamente, le donne del 2000 tornano ad essere incubatrici.

Ma le donne si opponevano e resistevano durante il Fascismo, e continuano a farlo oggi, certo in modi diversi e con altre forme, almeno in Occidente, ma con la consapevolezza che ogni lotta é la lotta di tutte, sicure che dedicare il 25 Aprile alla “nostra” Resistenza vuol dire celebrare ogni donna che si ribella.

Noi non dimentichiamo, nessuna pacificazione, i nemici di ieri sono gli stessi di oggi.

ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Posted in 25 aprile, resistenze, storie di donne.