Il referendum o meglio il ricatto alla Fiat Mirafiori, come sappiamo, si è concluso con una vittoria risicata dei si per il 54% a fronte del 46% di no; vittoria dovuta soprattutto ai 400 voti compatti di capi, capetti, quadri e impiegati, i meno interessati dal peggioramento delle condizioni di lavoro che esso implica.
La metà delle operaie e degli operai hanno alzato la testa, non hanno ceduto al ricatto e hanno votato no: nel conteggio complessivo delle tute blu i si hanno prevalso per soli 9 voti!
Operaie e operai hanno dimostrato un enorme coraggio e non hanno accettato l’accordo-vergogna, sottoscritto dei sindacati venduti, che toglie loro diritti e dignità e riduce lavoratrici e lavoratori a pura merce. Gli altri spesso hanno dichiarato di votare si solo per estrema necessità (carichi familiari, mutuo, affitto…), in pochissimi hanno votato un si convinto….
In fabbrica e alla catena di montaggio molte e molti già oggi denunciano condizioni di lavoro al limite della tollerabilità. Intensificare i ritmi, spostare la mensa a fine turno, tagliare le pause, imporre 120 ore di straordinario obbligatorio, penalizzare le assenze per malattia, cancellare il diritto di sciopero significa distruggere i corpi e le menti delle operaie e degli operai.
Le donne e gli uomini di Mirafiori sono nella stessa barca: le donne lavorano in catena di montaggio quanto gli uomini, sono tutti sottoposti al triplo turno, fatta eccezione per quelli che hanno figli al di sotto dei tre anni di età, sia donne che uomini. Alla catena di montaggio le operaie e gli operai non possono decidere di alzarsi quando vogliono e andare a prendere un caffè, andare in bagno o fumare una sigaretta: tutte le interruzioni vanno concordate e regolate. Il turnista, se è stanco, non può scegliere di saltare un pezzo. Le pause nell’arco della giornata servono alla sua ricarica fisiologica. Sette ore e mezza di fila alla catena di montaggio, come prevede l’accordo, non possono essere sostenute. Le pause fissate finora sono addirittura il minimo indispensabile, per evitare che i lavoratori si ammalino. L’accordo di Mirafiori, porta ad una pesante intensificazione dei ritmi: ridurre l’attuale tempo minimo di pausa, anche solo di dieci minuti significa implicitamente accettare che i lavoratori/trici si ammaleranno di più. Per le operaie inoltre, i ritmi intensi di lavoro, i movimenti ripetuti, la stanchezza di ore ed ore di lavoro, legati all’insieme della condizione di vita, al lavoro domestico e di cura, ancora loro appannaggio, comportano in più gravi problemi all’apparato riproduttivo, con disfunzioni del ciclo mestruale (che talvolta sparisce anche per mesi), problemi legati alla maternità, mal di testa sempre più frequenti, ecc., “…sentirsi sempre sull’orlo dell’esaurimento nervoso, sentirsi precocemente vecchie…” come dimostra un’inchiesta del sindacato Slai Cobas alla Fiat di Melfi.
Ma le donne verranno ancor più penalizzate dal ricatto Marchionne, perché contiene una clausola che prevede la modifica del contratto nazionale riguardante tutte le condizioni in cui attualmente si usufruisce dei permessi di legge e di contratto. Nei permessi di contratto sono inclusi tutti i congedi parentali, i permessi per malattia del figlio, i permessi per la legge 104, i permessi per studio eccetera.
Il coraggio di tante donne nel votare contro l’accordo è ancora più significativo se si considera che con la crisi economica la condizione delle donne nei luoghi di lavoro si è indebolita, soprattutto nell’industria manifatturiera che è la più colpita dalla recessione.
Infatti negli ultimi due anni l’occupazione femminile, che nell’industria corrisponde a circa un quinto del totale, è diminuita di oltre il 12% a fronte del -7% di quella maschile.
Inoltre le donne sono concentrate nei livelli inferiori di inquadramento (il 68% fino al terzo livello, contro il 31% degli uomini), hanno più spesso contratti di lavoro precario e con percorsi di precarietà relativamente più lunghi, raramente rivestono ruoli tecnici e quasi mai hanno responsabilità direttive o di coordinamento, nei ruoli di comando vi sono quasi sempre uomini.
Il lavoro delle donne è più monotono e ripetitivo rispetto agli uomini e al tempo stesso la rigidità dell’organizzazione del lavoro si ripercuote sulla loro condizione di vita. Inoltre, l’importanza cruciale degli orari e della sede di lavoro le rende molto più esposte alla discrezionalità dei superiori. Il divario salariale medio è di circa 200 euro al mese, sia tra le operaie che tra le impiegate, anche a parità di mansioni, perché di fatto le donne lavorano meno ore, a causa della loro minore disponibilità a straordinari, giornate lunghe, turni di notte, e perché hanno quasi il monopolio del part-time. Quasi la metà delle donne dichiara di svolgere ogni settimana 20 ore di lavoro domestico e di cura: la suddivisione tra i partner è fortemente squilibrata e mostra difficoltà culturali profonde.
In un’articolo di Repubblica una delegata sindacale racconta alla giornalista Vera Schiavazzi: “Le donne, che sono quelle che hanno più bisogno di ottenere l’orario giusto, l’unico che può consentire loro di andare a prendere i figli o assistere un parente malato, non hanno più il coraggio di aprire bocca, di partecipare a uno sciopero o di prendere la tessera del sindacato. Scambi la tua sopravvivenza quotidiana con la tua libertà di pensare e di parlare”.
I diritti e la conciliazione dei tempi vengono spacciati come “favori”, in cambio di altri favori: questa è la difficile condizione di molte donne lavoratrici.
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