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Dal ciuccio al sudario: l’ultimo attacco all’autodeterminazione delle donne

Una riflessione sulla convenzione per il seppellimento dei feti stipulata dall’ospedale Sant’Anna di Torino (prima parte)
Torino, 28 novembre 1938:  il grande spazio racchiuso tra la collina, gli imponenti viali cittadini che lambiscono corso Bramante e il fiume Po nascosto, si apre finalmente all’inaugurazione della sede attuale dell’Ospedale Sant’Anna, la cui storia comincia in realtà ben due secoli addietro, con l’istituzione del primo reparto partorienti della città di Torino presso l’Ospedale Maggiore S. Giovanni Battista, per intervento diretto di Vittorio Amedeo II.
Il nome “Opera di Maternità“, con cui il presidio viene identificato per tutto il XIX secolo, resiste fin dopo la seconda guerra mondiale, quando viene significativamente cambiato in Ospedale Ostetrico Ginecologico Sant’Anna: è l’ospedale delle donne, riferimento regionale e nazionale di alta specializzazione per quanto riguarda tutte le diverse fasi che attraversano, non solo a livello sanitario, la nostra salute e le nostre vite, dalla contraccezione alla maternità, dall’interruzione volontaria di gravidanza ai problemi di sterilità, dalla diagnosi precoce alla terapia e assistenza in campo oncologico…

E’, appunto, l’ospedale delle donne.

Ma è anche il luogo in cui, all’alba, una volta alla settimana, è possibile incontrare i militanti delle associazioni pro- life che, stazionando all’esterno, pregano contro il peccato d’aborto; è anche il luogo in cui Maria, avvicinandosi all’entrata, è stata aggredita, insultata e apostrofata come assassina e malata di mente per aver abortito, da appartenenti ad uno dei gruppi che compongono la variegata galassia del Movimento per la Vita; è, infine, anche il luogo in cui, dal 22 novembre 2010, senza tanto clamore, è operativa la convenzione stipulata tra la direzione sanitaria dell’Ospedale, nella persona del direttore generale Valter Arossa, e l’associazione cattolica Difendere la Vita con Maria.
Il tenore delle dichiarazioni rilasciate da Arossa e riportate sui quotidiani nei giorni successivi, in piena concomitanza temporale con la presentazione, discussione e approvazione della delibera Ferrero, si caratterizzava per un’apparente e pacata sorpresa: qual è il problema, ha spiegato, se un’associazione offre, a genitori che ne facciano richiesta, un funerale cattolico per i feti oltre la ventesima settimana di gestazione?
Noi abbiamo deciso di andare un po’ più a fondo, dal momento che, come per l’ingresso del Movimento per la Vita nei consultori, decisioni assunte sui nostri corpi con un tratto di penna comportano, per le donne, effetti e conseguenze preoccupanti.
Per quanto riguarda la convenzione in sé vanno fatte alcune precisazioni e svelata qualche, grave, ambiguità:
–    stipulata, a dire del direttore Arossa, per rispondere ad un’esigenza emersa, in realtà è un’operazione meramente politica e di facciata, dato che i numeri sono impietosi: nel 2009 le richieste di funerale a seguito di Ivg sono state ben (!) 2 entro la 20° settimana di gestazione, 7 richieste dopo la 20° e 43 dopo 28 settimane di gestazione.
–    il Piemonte non è la Lombardia, in cui si è dovuto modificare nel 2007 il regolamento regionale, peraltro con voto unanime di maggioranza e opposizione, per riconoscere ai feti sotto le venti settimane lo status di “prodotti del concepimento” e imporre, o a carico della famiglia o a carico della struttura sanitaria non solo il seppellimento ma anche l’obbligo ad informarne la mamma e il papà: la convenzione stipulata dal Sant’Anna, rispetto ad una situazione come quella lombarda, cosa consente davvero?
–    se non è possibile il seppellimento, non nei modi previsti in Lombardia, dove vi è anche l’intervento della stessa Difendere la vita con Maria, ma semplicemente si offre la possibilità di un “conforto spirituale” post aborto, su richiesta, qual è il senso di una convenzione con tale associazione antiabortista, dato che il Sant’Anna già prevede, per ogni confessione religiosa, forme di assistenza spirituale e spazi appositamente deputati?
–    ancor più grave, a fronte delle questioni che solleviamo in forma di domanda,  che la convenzione preveda che sia il personale ospedaliero a farsi carico della pubblicizzazione, presso le pazienti,  dell’attività di Difendere la Vita con Maria: è un’assunzione di responsabilità del servizio pubblico che ha un enorme valore sul piano del riconoscimento simbolico del movimento pro- life in questa sua particolare declinazione.

Riassumendo, il quadro che emerge è chiaro: un direttore sanitario in scadenza, nominato dalla precedente amministrazione, stipula, senza che ve ne sia necessità alcuna, una convenzione, ininfluente sul piano delle disposizioni sanitarie regionali in vigore in materia di trattamento dei prodotti ospedalieri (espressione raggelante ma formale), con un’associazione cattolica antiabortista che ha sede a Novara, stessa città del neo presidente della regione, Roberto Cota, il quale, a sua volta, nell’arco di poche settimane dovrà effettuare le nuove nomine e la cui politica si caratterizza per un deciso attacco al diritto delle donne a scegliere se portare a termine o meno una gravidanza.
I vertici delle aziende sanitarie piemontesi, evidentemente, si adeguano.
Come per la legge 40 in tema di fecondazione assistita si lamenta un’emergenza inesistente, vi ricordate il Far West procreativo di cui strillava il centro destra? Tutto viene pensato per limitare libertà e diritti conquistati dalle donne e per ridurne la capacità a decidere di se stesse: attaccare frontalmente la legge 194 forse ancora non è politicamente e socialmente opportuno, molto più sottile, e pericoloso ed efficace, è agire prima durante e dopo un interruzione di gravidanza, il cui iter viene trasformato in una sorta di percorso ad ostacoli con necessaria espiazione finale.
Infatti…si comincia in consultorio, a spiegare in più colloqui come siamo rimaste incinta e perché intendiamo abortire, si prosegue in ospedale, in cui incontreremo gli attivisti pro- life, di cui conosciamo bene i metodi, che pregheranno per noi peccatrici e si offriranno di seppellire, avvolgendolo in una candida sindone, il bambino che, come illustrato dalla terapeuta in occasione del corso di formazione di cui abbiamo pubblicato la cronaca, abbiamo assassinato, e, alla fine, in un momento comunque difficile e delicato,  avremo a disposizione un non meglio identificato ufficio nell’ospedale, in cui gli attivisti dell’associazione Difendere la vita con Maria ci forniranno conforto e assoluzione.
Ma non è finita: dovremo tornare in consultorio affinché possano essere individuate e superate eventuali resistenze all’utilizzo di un metodo contraccettivo, successivamente all’Ivg, e poi verremo costantemente monitorate in ulteriori appuntamenti di valutazione.
Il linguaggio è sempre rivelatore: dal ciuccio del Movimento per la Vita, al sudario di Difendere la vita con Maria, passando per la presa in carico della delibera Ferrero, di cui stiamo citando alcuni passaggi, il punto nodale è la valutazione, ossia il controllo.
Preoccupazione ossessiva e nuova frontiera della politica, è il controllo di quanto dovrebbe essere indisponibile, vale a dire i nostri corpi, i nostri tempi, le nostre convinzioni, le nostre motivazioni, sulla base di un presupposto che ricorre in modo martellante: una donna non è, semplicemente, persona capace e responsabile, va assistita, confortata, valutata…
…che sia presa in carico, una volta per tutte, da Stato e Chiesa.
Per legge.

Posted in anticlericale, autodeterminazione, corpi.


One Response

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  1. marilena maffioletti says

    d’altra parte sant’anna ha concepito la figlia maria senza peccato originale! Un ospedale che porta il suo nome deve tener alto questo primato demenziale!