Torino, novembre 2013, a cura del Collettivo femminista MeDeA
Su sollecitazione delle organizzatrici della campagna solidale “In camper per Helleniko”, proviamo a mettere insieme alcuni dati e riflessioni rispetto alla situazione della sanità e dei servizi nel nostro territorio.
Il servizio sanitario nazionale in Italia- La Delibera Ferrero- La proposta di legge 160 per il controllo e la gestione dei consultori pubblici piemontesi- La 194 e l’obiezione di coscienza
qui la scheda scaricabile in PDF: scheda territorio sanità servizi torino-piemonte
L’obiettivo di questa seconda fase della campagna è collegare infatti lo stato dell’assistenza sanitaria in Grecia, danno collaterale e punto finale allo stesso tempo della crisi e dei suoi presunti rimedi, con quanto sta accadendo e accadrà in Italia, alla luce della prevista e ulteriore riduzione della spesa sanitaria entro il 2017.
Si prospetta il peggioramento di una situazione già caratterizzata da licenziamenti, chiusura di reparti o di interi ospedali, allungamento delle liste d’attesa, abbassamento della qualità delle cure, aumento del ticket, esternalizzazione dei servizi e ritmi insostenibili per il personale, con conseguenze facilmente immaginabili per malati e malate.
I soldi pubblici sono consapevolmente dirottati altrove…le grandi opere, per fare un esempio che coinvolge da vicino il nostro territorio..o ancora le spese militari, milioni di denaro pubblico regalato all’industria bellica…
Sono questi nodi che come donne, femministe, antagoniste e, soprattutto, anticapitaliste conosciamo bene, sono punti cruciali di una riflessione che inevitabilmente e logicamente coniuga il dato economico con quello di genere, soprattutto ora.
Possiamo affermare con sicurezza che il debito è nella vita delle donne, non solo in quanto conseguenza diretta e inevitabile della crisi, ma anche e soprattutto dal momento che le cosiddette ricette per combattere la crisi stessa hanno un impatto drammatico sulle nostre esistenze … sappiamo benissimo in cosa, concretamente, si traducano: taglio delle spese sociali e stretta sull’occupazione nei settori pubblici, ovvero lavoro di cura scaricato sulle donne, Welfare domestico gratuito e garantito all’infinito – in particolare sulle donne migranti – e poco lavoro extradomestico, mal pagato e qualitativamente peggiore in quei settori in cui tradizionalmente si concentra l’occupazione femminile.
La campagna di solidarietà, esortano dalla Grecia, dovrebbe diventare pretesto per riappropriarci del discorso sui servizi come bene pubblico collettivo, perché è vero che termini quali risparmio, spreco o anche corruzione svelano realtà concrete con le quali tutte e tutti, semplicemente da pazienti, ci siamo dovuti confrontare o scontrare, ma è altrettanto vero che questi stessi termini vengono ormai intenzionalmente accostati a tutto ciò che è pubblico con lo scopo di far passare e accettare come unico sistema di riferimento virtuoso, professionale e competente quello privato o privatizzato.
È necessario muoversi sempre e comunque nell’orizzonte di un’economia di mercato che guarda al Welfare come terreno di caccia per nuove opportunità di profitto o piuttosto è possibile usare la crisi come occasione per immaginare un sistema diverso, i cui cardini siano accesso, partecipazione e redistribuzione delle risorse, delle capacità, delle esperienze, delle pratiche e della qualità?
E, infine, sarà possibile finalmente interrogarsi su questo nostro occidente medicalizzato, fertile di patologie sempre nuove e gonfio di farmaci, in cui la medicina sembra ormai compiutamente la medicina del capitale?
Riusciamo a sciogliere il groviglio di contraddizioni in cui ci imbattiamo se parliamo di sanità e di salute? Ci sono parole tabu come sprechi e razionalizzazioni, usate dalla controparte in maniera ovviamente strumentale, ma sono concetti su cui anche noi dovremmo riflettere e confrontarci.
Ci troviamo infatti di fronte ad una spesa sanitaria diventata abnorme a causa soprattutto di un’eccessiva medicalizzazione, di una domanda di cura indotta a più livelli e per diverse ragioni…
La sudditanza della medicina alle multinazionali farmaceutiche, pensiamo solo al business dei vaccini…
Lo spazio di mercato e di profitto che si vuole aprire alla sanità privata…
La dimensione, non ultima, del controllo sociale, attraverso una medicalizzazione spinta e una patologizzazione di qualunque disagio o presunto tale…
I tagli che ci stanno colpendo non sono reali ottimizzazioni e non partono da un monitoraggio e da una valutazione reale dei servizi offerti e dei bisogni, ma rispondono ad una logica di mercato e di profitto. Sono tagli indiscriminati, che non incidono sull’eccessiva medicalizzazione di una sanità che continuiamo a pretendere pubblica e accessibile a tutti e tutte, alle cui logiche malate però dobbiamo cercare di sottrarci…
Come utenti siamo completamente imbevuti di questa ideologia. Sfruttano le nostre paure per fare profitto.
Pensiamo all’offerta dei centri convenzionati…una promessa di felicità e benessere eterno con la falsa speranza di essere curabili ancor prima di essere malati…
Allora rivendichiamo una sanità per tutte e tutti, pubblica, accessibile, che tenga conto delle differenze ma proviamo ad imbastire anche una critica alla medicina del capitale che trae profitto dalla vita stessa e facciamo tesoro della lezione delle donne e delle femministe dei decenni scorsi che hanno messo in discussione la delega totale ai medici, agli specialisti, allo stato. Pensiamo come è andata a finire con la legge 194. Le donne chiedevano la liberalizzazione e la depenalizzazione dell’aborto e si sono ritrovate con l’interruzione volontaria di gravidanza normata in una legge che afferisce alla sfera del codice penale, in cui è lo stato a decidere, a limitare, a controllare, sorvegliare e nel caso a punire.
Proviamo ad immaginare di liberare i saperi medici e di cura, a condividerli e socializzarli, riappropriandoci dei nostri corpi e affrontiamo il tema della salute e del benessere con una consapevolezza diversa e un’ autodeterminazione maggiore.
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IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE IN ITALIA
a cura di PIERA SALVANO (medica dei servizi sanitari territoriali)
Il Servizio Sanitario Nazionale (in acronimo SSN), nell’ordinamento giuridico italiano, identifica il complesso delle funzioni e delle attività assistenziali svolte dai servizi sanitari regionali, dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale e dallo Stato, volte a garantire la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Prima della sua istituzione il sistema assistenziale-sanitario era basato su numerosi “enti mutualistici” o “casse mutue”. Il più importante tra di essi era l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie (INAM).
Ciascun ente era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti allo stesso e, in questo modo, fruivano dell’assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Il diritto alla tutela della salute era quindi correlato non all’essere cittadino ma all’essere lavoratore (o suo familiare) con conseguenti casi di mancata copertura; vi erano, inoltre, sperequazioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle prestazioni assicurate dalle varie casse mutue.
L’Istituzione del SSN :legge 833/78.
Si pone come un sistema pubblico di carattere “universalistico”, tipico di uno stato sociale, che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini, finanziato dallo Stato stesso attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette, percepite dalle aziende sanitarie locali attraverso ticket sanitari (cioè delle quote con cui l’assistito contribuisce alle spese) e prestazioni a pagamento.
Nel 1978, la legge 833 che istituisce il SSN, viene emanata in un contesto caratterizzato da una forte e positiva mobilitazione sociale per rendere esigibile l’artico 32 della Costituzione che afferma il diritto alla salute e la sua natura universale (diritto della persona ed interesse della collettività) nel. I principi ispiratori della legge possono essere sintetizzati in questo modo:
- tutela della salute individuale e collettiva;
- universalità e libero accesso alle cure;
- superamento delle mutue;
- superamento dei disequilibri territoriali;
- Integrazione nelle Unità Socio Sanitarie Locale (USSL) di tutti i servizi sanitari extraospedalieri e di tutti quelli socio-sanitari ;
- capillarità territoriale dei servizi;
- controllo democratico attraverso lo Stato e le sue articolazioni locali (Comuni, Province, Regioni);
- primato della gestione pubblica diretta;
- finanziamento dalla fiscalità generale e non da contributi
Attraverso di esso viene data attuazione all’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il “diritto alla salute” di tutti gli individui.
Secondo l’ultima ricerca dell’OMS, risalente al 2000, l’Italia aveva il secondo sistema sanitario migliore del mondo in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini, dopo laFrancia.
E’ utile ricordare che in quegli anni vedono la luce le leggi che istituiscono gli asili nido comunali (sottraendo il servizo alla solo logica assistenzial/materna dell’ONMI), i consultori ( che prevedevano un comitato di gestione composto anche da associazioni di cittadinanza come modalità per non delegare la salute al solo potere medico o istituzionale), era il 1976 e costituirono di fatto il primo nucleo del SSN, e la legge 194, sull’interruzione volontaria della gravidanza).
Il Finanziamento del SSN si fonda sulla fiscalità generale e, successivamente, su entrate proprie (ticket sanitari), sulla base del fabbisogno previsto (spesa storica/quota capitaria), lo Stato eroga i fondi alle Regioni che a loro volta girano alle USSL. Se fra il fabbisogno previsto e la spesa effetiva vi era un disavanzo quest’ultimo veniva ripianato dallo Stato. Gli ospedali ricevevano finanziamento sostanzialmente sulla base del numero dei posti letti e sul numero dei ricoveri.
La controriforma del SSN : e517/93Decreto Legislativo (D.Lgs.) 502/92
In un contesto sociale e politico completamente differente sia a livello italiano (tangentopoli, cambiamenti istituzionali, ridefinizione del peso del potere politico nella gestione dei servizi, mitizzazione del privato (aziendalizzazione) che europeo (introduzione parametri di Maastrick, utilizzo del debito pubblico per ridimensionare il finanziamento ai sistemi pubblici di protezione sociale) vengono esasperati gli aspetti del SSN che non funzionavano ( burocratizzazione delle USSL, ingerenze politiche nella gestione, de-responsabilizzazione finanziaria di Regioni e USSL, ecc) . Viene quindi approvato il D.Lgs. 502/92, cosiddetto De Lorenzo dal nome del Ministro della sanità dell’epoca.
Cambiano completamente i principi ispiratori. Ecco, in sintesi, i nuovi:
- l’aziendalizzazione che trasforma gli ospedali e le USSL in Aziende con obbligo di pareggio del bilancio;
- la regionalizzazione, secondo la quale alla Regione è demandata l’istituzione di leggi istitutive del Sistema Sanitario Regionale per definire: la dimensione territoriale delle USSL divenute ASL (Aziende Sanitarie Locale );
- l’identificazione degli ospedali-azienda (AO);
- la nomina dei Direttori Generali di ASL e AO, da parte della giunta regionale; l’assetto delle ASL e i criteri per l’accreditamento delle strutture.
- alla Regione è altresì demandato una parte del finanziamento ed una parte della copertura del disavanzo mentre lo Stato si deresponsabilizza quasi totalmente nei confronti degli aspetti organizzativo-gestionali;
- l’introduzione del DRG e la pratica dell’accreditamento istituzionale. Il DRG (diagnosis related group), strumento utilizzato nel sistema sanitario statunitense, è praticamente il “prezzario” delle prestazioni omogenee (cioè prevede quanto costa un’appendicite, un intervento in day hospital, un’operazione di cardiochirurgia, ecc).
L’AO chiede quindi il rimborso alle ASL di residenza dei pazienti sulla base delle prestazioni (DRG) eseguiti. (Questo vuol dire concretamente che le AO hanno tutto l’interesse ad effettuare il maggio numero possibile di DRG “costosi”. Questo diventa particolarmente deleterio nelle situazioni in cui esiste una netta separazione tra ASL e AO, come in Lombardia dove, non a caso, per esempio la Regione ha lo stesso numero di reparti di cardio-chirurgia di tutta la Francia!).La giunta Cota ha tentato in tutti i modi di riproporre il modello Lombardia anche in Piemonte, dove invece erano positive le collaborazioni tra ospedale e territorio della stessa ASL; le proteste di operatori, associazioni di tutela dei malati e l’ opposizione in consiglio regionale hanno evitato questa modifica nell’ ultimo Piano Sanitario.
Per accreditamento si intende la pratica secondo la quale le strutture pubbliche e private per poter accedere al finanziamento pubblico devono accreditarsi presso la Regione dimostrando (in genere su autocertificazione) di possedere i requisiti stabiliti a livello regionale (per es. per quanto riguarda gli ospedali : la presenza di un pronto soccorso, il numero dei reparti, le professionalità, le caratteristiche di struttura ecc). il sistema di finanziamento viene messo a capo delle Regioni a cui lo Stato versa i contributi provenienti dalla fiscalità generale secondo il principio della quota capitaria.
I questi stessi anni (1997) in Lombardia dopo l’elezione di Roberto Formigoni viene approvata la legge n. 31/97 che , se possibile, esaspera i contenuti del D.lgs 502 attraverso il principio della “libera scelta” che consente di considerare, tout-court, soggetto pubblico chiunque svolga una funzione pubblica. Inoltre i criteri di accreditamento vengono studiati per favorire le strutture private, in particolare se gestite da religiose/i. E’ eclatante il caso del regolamento regionale per l’accreditamento dei Consultori che consente l’obiezione di coscienza di struttura nei confronti della 194. In parole povere un consultorio di matrice religiosa può essere finanziato dalla regione anche se non applica quanto prescritto dalla 194! In questo modo i finanziamenti pubblici vengono dirottati in maniera consistente verso le strutture private che aumentano in modo consistente a tutto danno di quelle pubbliche.
Molte ASL regionali, così anche in Piemonte, non gestiscono più i servizi socio-sanitare ( anziani, handicap, minori ) Inutile sottolineare che una simile scelta ha avuto conseguente negative sui servizi socio-sanitari ( materno/infantile, dipendenze, disabilità, ecc) cioè quelli più legati alla fragilità sociale.
Al contrario in altre Regioni, per esempio l’Emilia Romagna, le A-USL hanno mantenuto la titolarità dell’erogazione dei servizi socio-sanitari e né si sono trasformate in enti esclusivamente pagatori.
La riforma della controriforma: D.lgs. 229/99 (riforma Bindi)
Nel primo governo Prodi si tenta di raddrizzare i principi ispiratori della controriforma De Lorenzo. Lo spirito con cui la ministra Bindi mette mano ad una nuova riforma è apprezzabile, i risultati però sono piuttosto modesti.
La riforma conferma:
- la regionalizzazione;
- l’aziendalizzazione;
- introduce: i LEA cioè i Livelli essenziali di assistenza, stabiliti dalla Stato, che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Lo Stato garantisce a questo proposito che i finanziamenti a disposizione delle Regioni siano sufficienti a garantire i LEA. Viene altresì sancita l’obbligatorietà dell’applicazione dei LEA e la possibilità della Regione di aggiungere ulteriori livelli;
- un nuovo sistema di finanziamento secondo il quale lo Stato, sulla base di una quota capitaria ponderata e attingendo dalla fiscalità generale, eroga i fondi alle Regioni che sulla base di criteri regionali aggiungono risorse ai finanziamenti statali in genere fondati sulla tassazione regionale (IRAP) e sugli ’introiti derivante dai ticket. Le Regioni a loro volta girano i contributi alle ASL che gestiscono l’erogazione dei servizi. Il ripiano dei disavanzi è in capo alla sola Regione e non più allo Stato.
La Riforma Bindi, pur se con i LEA prova a rimettere al centro la persona ed i suoi bisogni e a riffermare il diritto universale alla salute, non riesce a modificare l’assetto strutturale della controriforma. Assetto, in particolare la regionalizzazione, che viene ulteriormente rafforzato, l’anno successivo alla riforma Bindi, dal D.Lgs 56/2000 sul federalismo fiscale.
Dalla Riforma Bindi ad oggi non sono intervenute altre leggi o d.lgs. sulla struttura generale del SSN.
Osservazioni sulla spesa sanitaria: Niente tagli ai servizi sanitari, tuonano da anni sia i governi nazionali che quelli regionali, ma è vero?
La spesa sanitaria pubblica misura quanto viene destinato per soddisfare il bisogno di salute dei cittadini in termini di prestazioni sanitarie (inclusi tutti i suoi costi: servizi amministrativi, interessi passivi, imposte e tasse, premi di assicurazione e contribuzioni diverse). La spesa sanitaria pubblica complessiva dell’Italia ammonta nel 2011 a circa 112 miliardi di euro, pari al 7,1 per cento del Pil e 1.842 euro annui per abitante.
La dotazione per il 2012 del Fondo Servizio Sanitario Nazionale è stata ridotta dalla Legge a 107.96 miliardi, di cui 105.06 per il finanziamento dei LEA, da ripartire tra le 20 regioni italiane.
Nello specifico, il finanziamento per i prossimi anni sarà inferiore a quanto previsto dal patto per la salute 2010-2012, in pratica si tratta di 7950miliardi in meno, concentrati nel 2013 e 2014, successivamente la legge 95/2012 inpone una ulteriore riduzione del livello di finanziamento per il SSN di 900 milioni nel 2012, 1,8 miliardi nel 2013 e di 2 miliardi a decorrere dal 2014 ( meno 4,7 miliardi nel triennio)
Ma non basta, la legge di stabilità 2013 dispone restrizioni aggiuntive: 600 milioni per il 2013 e di 1 miliardo per il 2014 e il 2015,
Dichiarando di mantenere i principi del SSN. La gratuità e l’ universalità delle cure, l’ omogenea copertura dei bisogni sul territorio
Non è più una questione di “razionalizzazione” bensì di “razionamento”.
In totale dal 2011 al 2015 i tagli sui bilanci sanitari ammontano a 30 milardi di euro.
Il peggio è che i tagli sono stati effettuati in modo lineare, senza tenere conto delle modalità di lavoro dei vari servizi cosi che
Reparti efficienti con i tagli si sono ritrovati a non poter lavorare, mentre servizi con esuberi di personale hanno avuto disagi relativi
Da anni si parla di costi standard , ma nulla si fa per renderli attivi, idem rispetto a utilizzo di protocolli e linee guida.
Una buona analisi dei bisogni sanitari della popolazione, e un conseguente stanziamento delle risorse potrebbe rendere sostenibile il nostro sistema sanitario.
Ma si procede in tutt’altra direzione: la medicalizzazione estrema indotta spesso dagli stessi professionisti (soprattutto in regime di interventi privati), l’ informazione dei mezzi di comunicazione a supporto di controlli e terapie per tutti e per tutto che creano una domanda indotta, hanno fato si che si siano impegnate risorse in interventi non sempre di dimostrata necessità ed efficacia, contribuendo a mettere a rischio la sostenibilità del sistema e a rendere strumentale l’ incremento di necessità degli interventi privati
Intanto la compartecipazione dei cittadini italiani alla spesa sanitaria è in continuo aumento ed è pari ad un importo di 4.4 miliardi di euro (4 nel 2011), di cui 2 miliardi per l’acquisto di farmaci, 755 milioni per i ticket corrisposti per visite ed esami fatti nelle strutture private ma convenzionate con il SSN e 1.5 miliardi per ticket per prestazioni in ambulatori e ospedali pubblici, e per accessi al Pronto Soccorso e visite specialistiche
E la sanità integrativa (assicurazioni individuali) è in costante aumento raggiungendo ad oggi un giro d’affari annuo di circa 6/7 miliardi.
Aggiungerei un esempio riferito alla spesa per i servizi sociosanitari in Piemonte (tabelle allegate).
Se si confrontano i dati internazionali la spesa sanitaria italiana risulta essere inferiore di 1,2 punti in percentuale rispetto alla media dei paesi maggiormente industrializzati.
Non solo, l’incidenza sul PIL della spesa stessa diminuisce costantemente ( es: dal 9,3% del 2007 al 8,7% del 2009).
Se i dati sono questi non si capisce, se non da un punto di vista ideologico, perché il nostro Paese non è più in grado di reggere un Sistema Sanitario Nazionale, come ebbe a dire il senatore a vita Monti.
GRAFICI 1 – GRAFICI 2 – GRAFICI 3
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LA DELIBERA FERRERO, UN ATTO CONTRO LE DONNE
Il 29 marzo del 2010 Roberto Cota, avvocato penalista novarese iscritto alla Lega Nord sin dal 1990, viene eletto presidente della Regione Piemonte.
La campagna elettorale di Cota sin dal suo inizio nel gennaio dello stesso anno si era caratterizzata in modo esplicito e inequivocabile contro la legge 194 e contro il principio di autodeterminazione delle donne sul proprio corpo, infatti Cota si era esposto più volte promettendo ad associazioni cattoliche integraliste e antiabortiste di intervenire su consultori, RU486 e tutela della vita non appena si fosse insediato, se avesse vinto le elezioni.
Nel novembre del 2010 Caterina Ferrero, assessore regionale alla Sanità, ha presentato il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza”, un semplice atto amministrativo, non a caso proposto in Giunta, con il doppio intento di evitare il confronto politico in Consiglio regionale e di silenziare qualsiasi forma di pubblicità, nonché contrasto, all’esterno, atto che di fatto apre le porte dei consultori pubblici, i luoghi della salute delle donne, ad associazioni e organizzazioni quali Movimento per la Vita e analoghe.
Dei consultori, del lavoro che vi viene svolto davvero, di chi li pratica o li fa vivere, delle difficoltà che attraversano, degli interventi di cui avrebbero bisogno, nulla si sa, nulla importa, nulla si dice nella Delibera.
Con il consueto stratagemma ben noto, vale a dire denunciare nelle intenzioni la finalità di piena attuazione della legge 194, viene messo seriamente in discussione, per principio e nella pratica, il diritto delle donne ad una decisione autonoma, indipendente e insindacabile suo proprio corpo in tema di maternità, di scelte e comportamenti assolutamente personali, di fatto rendendole per legge soggetti non responsabili da sostenere, accompagnare ed educare a tutela della vita: la vita del concepito, non la vita delle donne, ridotte a pure e semplici incubatrici.
Colpevolizzate, schedate, ostacolate in ogni modo possibile … ecco cosa viene prospettato alle donne che pretendono di esercitare il proprio diritto di scelta.
La risposta delle donne è stata immediata: assemblee in tutta la regione, presidi, mobilitazioni, compagne informative hanno coinvolto collettivi femministi, operatrici dei consultori, esponenti politiche della sinistra istituzionale, associazioni e gruppi storici come la Casa delle Donne di Torino e donne singole cittadine e migranti, tutte generosamente impegnate sia in un’opera capillare di controinformazione sia in azioni sul territorio.
In data 14 dicembre 2010 la Casa delle Donne e successivamente l’associazione ACTIVA Donna hanno presentato ricorso al Tar contro la Delibera, in quanto illegittima e fortemente lesiva dei diritti, della dignità e dell’autodeterminazione della donna, nonché in palese violazione della legge 194/1978, delle leggi nazionali e regionali istitutive dei consultori, legge 39/1976 e legge 405/1975, della legge a tutela della privacy e della protezione dei dati personali, DL 196/2006, nonché del principio di eguaglianza espresso dall’art. 3 della Costituzione Italiana, con riferimento al requisito soggettivo della finalità di tutela della vita sin dal concepimento indicata nello Statuto delle associazioni interessate all’accreditamento.
L’udienza presso il TAR, con procedura d’urgenza viene fissata in data 19 gennaio 2011 in Camera di Consiglio e non in udienza pubblica, accorpando i due ricorsi.
Il Movimento per la Vita Nazionale, la sezione di Torino e la Regione Piemonte si presentano come resistenti al ricorso, dopo aver espresso per bocca di Roberto Cota la ferma intenzione a non cambiare neppure una virgola del testo presentato in Giunta.
Viene rinviata dal presidente Vincenzo Salomone l’udienza di esame nel merito della Delibera alla data del 8 giugno e, seppur non ufficialmente, sino a quella data sono sospesi tutti gli atti eventualmente tesi ad attuarne le disposizioni.
Il 15 Luglio il TAR Piemonte pronuncia sentenza di accoglimento del ricorso annullando il Protocollo della Giunta nella parte in cui prevede la possibilità di ammettere all’accreditamento unicamente le associazioni che, come già sottolineato, possiedano per statuto il requisito della tutela della vita sin dal concepimento, in quanto illegittimo, discriminatorio e non coerente con il percorso sanitario dell’interruzione volontaria di gravidanza.
La Delibera viene riscritta in soli quattro giorni e la parte sui requisiti soggettivi viene così integrata: … concepimento e/o specifiche attività che riguardino sostegno alla maternità e alla tutela del neonato, in assenza del presente requisito soggettivo è sufficiente il possesso di un’esperienza almeno biennale nell’ambito del sostegno alle donne e alla famiglia.
Evidentemente una presa in giro che non tiene conto delle eccezioni sollevate dal TAR.
Nel frattempo Caterina Ferrero viene arrestata e le vengono contestati i reati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio.
Il 3 agosto 2011 Paolo Monferrino, viene nominato assessore regionale alla Tutela della Salute e della Sanità, deleghe rimesse nel marzo del 2013 in maniera irrevocabile a causa delle lentezze nell’attuazione della riforma sanitaria da lui proposta che comporta di fatto chiusura di interi ospedali e reparti.
Caterina Ferrero è sotto processo, l’ultima udienza è del 4 ottobre scorso, la Delibera che porta il suo nome è stata parzialmente attuata per quanto riguarda l’istituzione presso due sole ASL di Torino del registro delle associazioni interessate all’accreditamento, ma di fatto è ferma per mancanza di copertura finanziaria.
Roberto Cota è ancora il presidente della Regione Piemonte.
L’opera di smantellamento della sanità pubblica, di desertificazione e svilimento dei consultori e del loro significato e di colpevolizzazione delle donne che intendono ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, continua.
A seguire i punti salienti e significativi della Delibera, che si indica indifferentemente anche come Protocollo o Delibera Ferrero, così come presentata in Giunta:
Il Protocollo prevede sin dal primo capo tra gli obiettivi la tutela della vita e l’indagine delle motivazioni che spingono la donna a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza, precisando che, sin dal suo ingresso in consultorio, viene e deve essere “presa in carico” da una equipe di cui possono fare parte anche volontari del cosiddetto privato sociale, a integrazione del personale competente ed professionalizzato preposto al servizio nella struttura consultoriale.
L’ingresso dei volontari, si determina esplicitamente, ha come scopo la rimozione delle cause che portano al ricorso all’Ivg con l’intento di consentire alla donna che la richiede, una procreazione cosciente e responsabile, tale solo se basata sul riconoscimento e la tutela della vita umana sin dal concepimento.
Il protocollo fissa quindi i requisiti necessari alle associazioni e agli enti del privato sociale interessa all’inserimento entro i consultori e individua nell’istituzione di appositi registri su base regionale il primo passaggio del percorso che viene definito come accreditamento, ossia un’iscrizione cui possono accedere le organizzazioni aventi tra i requisiti soggettivi minimi la presenza nello statuto della finalità della tutela della vita sin dal concepimento e tra i requisiti tecnici e organizzativi la disponibilità di volontari e di una sede operativa, in cui, come previsto al titolo 2.1, può avvenire l’accoglienza della donne in gravidanza indifferentemente rispetto allo spazio pubblico consultoriale.
La Delibera Ferrero entra nello specifico dell’iter del percorso di assistenza, prevedendo un colloquio/esame al cospetto di una equipe, in cui è presente anche l’operatore volontario, durante il quale la donna deve specificare comportamenti sessuali precedenti, situazione familiare individuale e sociale, motivazioni che spingono alla richiesta di interruzione e deve essere messa al corrente sia delle alternative sia della possibilità di essere inquadrata in azioni di sostegno alla maternità, in entrambi i casi secondo quanto proposto e prospettato dal volontario e dal privato sociale convenzionato.
Viene quindi aperta una scheda nella quale vengono annotati tutti i passi successivi che comprendono ovviamente l’intervento e anche i colloqui di monitoraggio cui la donna è invitata dopo l’Ivg.
Il personale del consultorio si deve fare carico di “sponsorizzare” attività, spazi e opere del volontariato e del privato sociale convenzionato finalizzati alla realizzazione di tutte le possibili alternative all’aborto, da proporre a tutte le donne che si presentino ai servizi consultoriali per l’interruzione volontaria di gravidanza.
Si prevede inoltre che la donna venga comunque intercettata e rimandata o al consultorio o presso il servizio del volontariato o privato sociale convenzionato nel caso in cui si presenti direttamente in ospedale allo sportello dell’accettazione.
E, infine, per le donne straniere viene avviata la procedura di identificazione per cui gli operatori del consultorio devono ricevere e validare i documenti e, pur non potendo impedire il rilascio della certificazione per l’accesso all’Ivg, devono farsi carico di informare la donna della necessità di presentarsi in ospedale o con un documento di identità o con un testimone.
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PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE 160 PER IL CONTROLLO E LA GESTONE DI CONSULTORI PUBBLICI PIEMONTESI
Si potrebbe partire da più lontano ma vogliamo iniziare da qui.
IL CORPO DELLE DONNE COME MERCE ELETTORALE
24 febbraio 2010
Roberto Cota, LegaNord, sottoscrive un accordo noto come ‘Patto per la famiglia e la vita’ con tanto di garanti che vigileranno sull’effettiva attuazione e comunicato stampa in sostegno, da parte di Federvita. Viene istituito un tavolo di lavoro sulle politiche della nuova amministrazione incentrate sulla tutela della vita (sin dal concepimento) e della famiglia intesa, ovviamente, come frutto del matrimonio tra uomo e donna.
Siamo in piena campagna elettorale per il rinnovamento del consiglio regionale per il quale Roberto Cota si candida alla presidenza.
Vinte le elezioni, tra polemiche e burrasche elettorali, una delle prime agghiaccianti esternazioni, del neo presidente Roberto Cota è proprio sulla volontà di rendere difficoltoso se non impossibile l’utilizzo della pillola abortiva RU486. Primo atto di fede al patto elettorale sottoscritto.
ATTACCO ALLE DONNE: UN COLPO DOPO L’ALTRO
15 ottobre 2010
Il consiglio piemontese recepisce il ‘Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza’, un atto amministrativo noto come Delibera Ferrero, dal nome dell’allora assessora alla sanità Caterina Ferrero dimessasi successivamente poiché coinvolta nello scandalo sanitario che la vede tutt’oggi imputata per concussione, abuso d’ufficio e turbativa d’asta.
Le donne si mobilitano facendo ricorso al TAR (respinto), appellandosi al Difensore Civico ma anche, e soprattutto, attivandosi con presidi, assemblee pubbliche, iniziative di controinformazione e manifestazioni di vario tipo.
PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE 160
14 settembre 2011
Viene presentata la proposta di legge regionale 160 “Norme e criteri per la programmazione, gestione e controllo dei Servizi consultoriali”, prima firmataria una donna, Augusta Montaruli, mentre gli altri firmatari sono Franco Maria Botta, Marco Botta, Alberto Cortopassi, Giampiero Leo e Massimiliano Motta: fascisti, berlusconiani ed ex democristiani uniti nella lotta contro le donne, nessuna/o di diretta espressione del proprio elettorato ma tutti divenuti consiglieri per quota maggioritaria, dimissioni o rinuncia altrui.
Lo scopo dei questa proposta è quello di colpire la legge 405/75 che ha istituito i consultori, abrogando la legge regionale di attuazione 39/76, aggiungendo un ulteriore tassello, l’ennesimo, per destrutturare e stravolgere la legge 194 che, pur con tutti i suoi limiti, norma (anche) l’iter per l’interruzione di gravidanza con l’obiettivo di spianare la strada per una favorevole legge nazionale. Il pensiero va immediatamente al medesimo tentativo in Lazio con la Proposta di Legge Tarzia.
La proposta di legge è articolata in 30 articoli studiati accuratamente per sovvertire gli obiettivi e stravolgere negli intenti, prima ancora dei suoi articoli, la legge 194 nata da anni di lotte femministe letteralmente spazzati via, introducendo e legittimando la presenza nei consultori dei volontari delle Associazioni cattoliche integraliste antiabortiste (che non sono certo i e le volontari/e a cui ci si riferiva negli anni ’70).
L’articolo 1 fissa un primo paletto: il riconoscimento della famiglia come ‘struttura sociale primaria’ fondata sul matrimonio tra uomo e donna. A chiare lettere non c’è legittimità per unioni diverse da quelle del matrimonio nè , tantomeno, viene contemplata l’unione tra persone dello stesso sesso.
Fissato questo punto di partenza l’articolo continua e al comma 3, definisce le basi per tutto il resto del testo: “La regione Piemonte tutela la vita nascente ed il figlio concepito come membro della famiglia’. Il collegamento è chiaro, se la regione Piemonte riconosce la fondamentale importanza della famiglia, non può esimersi dal tutelare il futuro nascituro, essendone membro a tutti gli effetti. E’ ovvio che si intende, come figlio concepito, anche e soprattutto l’embrione, facendo salti mortali, lo si può immaginare già come essere vivente con tanto di ciuccio…altrimenti non ci sarebbe alcuno spazio per i sensi di colpa!
Ma la tutela della salute della donna, in quanto tale? Inesistente! Le donne esistono solo in quanto future madri!
Proseguiamo leggendo l’articolo 9 “Tutela della maternità e del concepito”.
Ignorando decenni di statistiche che vedono gli aborti in costante diminuzione (se non nei luoghi in cui proprio la presenza dei consultori è insufficiente) e l’articolo 1 della 194 dove viene chiaramente definito che l’aborto non è un mezzo di controllo delle nascite, nella proposta di legge si ribadisce nuovamente il concetto secondo cui i consultori familiari, devono agire contro l’aborto inteso come mezzo di controllo e limitazione delle nascite.
Ribadito questo concetto, finalmente viene definito l’iter ed il vero e proprio inferno nel quale dovrebbe passare una donna che si rivolge al consultorio dopo aver deciso di abortire.
Vengono annunciate “sinergie ed opportune collaborazioni” con i Centri per la vita che, finalmente, vengono nominati senza alcuna ambiguità.
Queste sinergie e collaborazioni si traducono nell’obbligo di dare uno spazio ai volontari nei locali dei consultori…ovviamente i locali dei consultori restano a spese delle amministrazioni pubbliche, quindi paghiamo noi!
Vengono definite le attività dei volontari (comma 3): distribuzione di materiale informativo (e sono immediati nelle nostre menti gli aberranti manifesti e volantini degli embrioni che diventano per incanto bambini nella pancia della madre) in TOTALE AUTONOMIA dal personale consultoriale; partecipano ai colloqui informativi con le donne che, bontà loro, ne danno il proprio consenso. Ricordiamo anche che molti di questi volontari si presentano spesso e volentieri in camice bianco, tanto per confondere le utenti e confondersi col personale medico presente.
Ma ecco l’iter definito se una donna, che ha già scelto di abortire, si presenta al consultorio:
– prima fase: l’ascolto. La donna deve raccontare perchè è rimasta incinta, i problemi e le difficoltà che la inducono ad abortire. Naturalmente a questi colloqui possono essere presenti i volontari sopra citati, quelle stesse persone che fuori dagli ospedali ci urlano assassine augurandoci di bruciare nelle fiamme dell’inferno o, nei casi migliori, di essere richiuse nei centri per malattia mentale dopo, ovviamente, aver partorito.
– fase successiva: informazione rispetto allo sviluppo dell’embrione e tecniche abortive. Dopo aver parlato di sé, della propria intimità e fragilità e del proprio privato, la donna (che ha già scelto cosa vuole fare), deve ascoltare il racconto dello sviluppo dell’embrione e la descrizione delle tecniche utilizzate per l’interruzione di gravidanza. Tutte noi abbiamo sempre preteso chiarezza di informazioni mediche su cosa avviene sui nostri corpi ma in quest’ottica l’obiettivo ed i propositi non sono gli stessi. Diventa più facile pensare a racconti truculenti su cosa capiterà, cercando nuovamente di far leva su sensi di colpa e sulla paura. Come a dire se: “continui ad essere determinata e non ti tocca l’umiliazione appena subita, vediamo come reagisci ai racconti di come sta crescendo il figlio che è in te, magari con qualche immagine tenera e strappalacrime, e poi alle informazioni dettagliate sull’aborto magari specificando il dolore fisico che, inevitabilmente proverai”.
Se la donna ha resistito a questo massacro psicologico inizia la fase successiva: la schedatura!
Si comincia con la prima firma per sottoscrivere che le informazioni sono state tutte fornite, poi si procede all’elaborazione di un progetto personalizzato che deve essere anch’esso sottoscritto; infine, deve esprimere il dissenso o il consenso ad aderire al progetto personalizzato per lei che ha preso in esame e fornito tutte le alternative all’aborto, firmando un’ultima volta.
Se aderisce al progetto viene inserita nell’elenco delle richieste per il Fondo per la vita, altrimenti viene inoltrata nelle sedi opportune per portare avanti l’interruzione di gravidanza….seguendo i termini di legge!
Una schedatura vera e propria, che nulla ha da invidiare alle questure!
Ma gli attenti ideatori della proposta di legge sanno anche che non tutte si rivolgono ai consultori, quindi come fare per intercettare anche le donne che si presentano direttamente all’ospedale con la richiesta del proprio medico curante? Vengono prontamente spedite nei consultori per tutto l’iter ed essere anche loro schedate….ed il tempo per abortire passa….
Tanto per chiudere il quadro e poiché non è ammesso che una donna possa prendere una decisione in modo autonomo e consapevole, l’ultimo comma fissa un ultimo tassello. Il personale consultoriale deve verificare eventuali influenze parentali o di altro genere facendo di tutto per rimuoverle. La donna, così, magari accompagnata dal compagno, amica o parente, viene isolata nel tentativo di renderla fragile, manipolabile e più facilmente attaccabile.
Definito l’iter ecco che viene anche precisato, a scanso di ogni equivoco, da chi è composto il personale presente nei consultori (art 11) ed ecco che a fianco di ginecologhe, ostetriche, infermiere e assistenti sociali compaiono tutte quelle figure di controllo come consulenti legali, psichiatri e esperti in bioetica (!!).
Continuando a leggere la proposta di legge, vediamo che la banda dei sei non si è fatta sfuggire alcun aspetto ed ecco che, con l’articolo 12, ci si preoccupa della professionalità promuovendo corsi di qualifica professionale, di aggiornamento per tutto il personale addetto e nominando nello specifico, ancora una volta, i volontari dei centri per la vita…e di nuovo paghiamo noi!
Visto poi che i punti deboli sono sempre l’aspetto economico e la limitazione nel tempo ecco che, nell’articolo 24, viene istituito il Fondo per la vita.
Attenzione: questo fondo non è destinato a tutte le donne che si rivolgono ai consultori, che si trovano in difficoltà economiche, bensì solo a quelle donne che, cambiando idea sull’aborto, decidono di aderire al progetto personalizzato. Si tratta di un assegno mensile con decorrenza dal concepimento fino al primo anno di vita del bambino/a estendibile, in alcuni casi, al quinto anno.
Mentre la proposta di legge giace nelle stanze delle commissioni e della giunta regionale in attesa di una discussione in aula che, sappiamo, prima o poi avverrà: ecco che l’instancabile giunta Cota non prende fiato e continua nei suoi intenti.
UN ASSEGNO ANTIABORTO
FEBBRAIO 2012
A febbraio viene approvato un emendamento alla legge finanziaria regionale, in attesa di discussione in consiglio, a firma di Gianluca Vignale (PDL – corrente Progett’Azione). Il modello ricalca pedestremente quello lombardo del progetto Nasko. Si tratta dell’erogazione da parte delle Aziende Sanitarie di un sostegno pari a 250€ dal terzo mese di gravidanza (scaduti quindi i termini di legge per l’interruzione volontaria di gravidanza) al diciottesimo mese di vita del bambino/a, per le donne che rinunciano ad abortire (e solo per loro perchè le donne che decidono di portare avanti la gravidanza di sicuro non hanno bisogno di alcun aiuto economico!). Le beneficiarie ricevono una carta prepagata sulla quale ogni mese viene caricato il contributo regionale, previo opportuno controllo sul corretto utilizzo e sulla corretta continuazione del Progetto.
Facendo un panorama generale, la Delibera Ferrero e Proposta di Legge 160 in Piemonte, il Protocollo d’Intesa della rossa Correggio (RE), il Progetto Nasko in Lombardia, la dibattuta proposta di legge Tarzia nel Lazio sono tutti atti che concorrono a delineare una donna mai consapevole, autodeterminata, mai libera ed indipendente ma sempre segnalata, esaminata, monitorata, debole ed insicura, soggetto da prendere in carico…questa è la stessa donna presente nel Libro Bianco di Sacconi e del Collegato Lavoro: precaria o disoccupata, sottopagata quando un lavoro ce l’ha ma comunque sola e sempre più spinta dentro le quattro pareti di casa ad occuparsi di anziani/e, bambini/e e lavori domestici, gratuitamente, a vita!
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LEGGE 194/78 E OBIEZIONE DI COSCIENZA
Secondo gli ultimi dati forniti dalla relazione annuale del Ministero della Salute nel settembre 2013 sulla legge 194/78, le IVG registrano un ulteriore calo rispetto al 2011, – 4,9% ,dato che conferma la tendenza generale dal 1982 (- 54,9%). Il dato sulle IVG è tuttavia inversamente proporzionale a quello su medici ed anestesisti obiettori, e non è sufficiente compensarlo, come vorrebbero invece le associazioni cosiddette “pro-life”.
L’obiezione di coscienza è infatti in forte aumento, secondo una curva che negli ultimi 30 anni non ha cessato di crescere: + 17,3%. Il dato nazionale rappresenta la media del fenomeno nelle singole regioni, e a livello locale si sfiorano cifre che di fatto, da tempo, costringono le donne che scelgono di interrompere la gravidanza a migrazioni forzate, in corsa contro il tempo, tra le singole ASL o al di fuori della propria regione, basti pensare al Lazio, dove l’obiezione registra un inquietante 91%.
E in Piemonte? Benchè ancora al di sotto della media nazionale, anche nella nostra regione il dato cresce ad un ritmo preoccupante. Secondo l’indagine della consigliera Artesio sull’attuazione della 194 in Piemonte, condotta su dati del 2012, il 67,5% dei/delle ginecologi/he e il 40% degli/delle anestesisti/e sono obiettori/trici, mentre nel 2011, in base ai dati del Ministero, erano rispettivamente il 65,7% ed il 37,7%: + 1,8% e + 2.3% in un solo anno.
Torino e province in dettaglio
A Torino la presenza di obiettori tra i ginecologi/he è preponderante: rappresentano infatti l’84,6% nella ASL TO1, il 69,2% nella ASL TO2, il 61,53% in TO3, il 68,96% in TO 4.il 61, 20% in TO 5, dati sostanzialmente simili a quelli degli/delle anestesisti/e nelle stesse ASL.
Ma in provincia si registrano situazioni ancora più critiche, in particolare nelle ASL di Novara, dove 1 solo medico è attivo, di Alessandria ( 2 medici) e di Cuneo (3 medici)…una mappa che delinea, in generale, la crescente difficoltà di portare a termine l’interruzione di gravidanza per le donne che la scelgono, e, nello specifico, una mobilità interna tra ospedali sempre più frequente ed obbligata che rappresenta, di fatto, una grave limitazione alla libera scelta delle donne.
1978-2013: dalla legge al collasso annunciato. Ora come sempre, nessun compromesso sui nostri corpi!
La legge n. 194 del 22 maggio 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) è da anni sempre più a rischio di disapplicazione. La difficoltà di accedere all’IVG rischia di implementare la zona grigia degli aborti clandestini, anch’essi in crescita, nel nostro paese. Si tratta tuttavia di un collasso annunciato a causa di carenze originarie della legge stessa, che non norma la pratica dell’obiezione limitandosi a prescrivere l’ovvio e -almeno per ora, sulla carta- l’indiscutibile: il dovere, anche per gli obiettori, di prendere parte alle pratiche di assistenza antecedenti e seguenti l’interruzione e comunque la non invocabilità dell’obiezione in situazioni di pericolo per la vita della donna che è ricorsa all’IVG (art.9 l.194/78)
Lo stesso articolo 9 si limita a prescrivere l’obbligo, per gli enti ospedalieri, di assicurare il compimento delle IVG anche a fronte dell’obiezione di coscienza del loro personale e affida alle regioni il compito di controllare e garantire l’attuazione della legge anche attraverso la mobilità del personale.
Ma la possibilità dell’odierno, progressivo dilagare dell’obiezione di coscienza tra medici ed anestesisti, che oggi persino il restio Ministero della Salute non può non registrare con preoccupazione( come nell’ultima relazione annuale, già citata), si inscrive proprio in quella legge, e nel cattivo compromesso, denunciato già all’epoca dalle donne, su cui la legge riposa. La 194 infatti ascrive l’aborto alla sfera penale, facendolo rientrare nell’ambito dell’opposizione legalità/illegalità, con ciò, di fatto, negando, rimuovendo e depotenziando le competenze femminili, i saperi e le pratiche delle donne sul proprio corpo e sulla procreazione. Da un lato rappresenta dunque una tappa importante nel vasto processo a un tempo sociale, culturale ed economico di medicalizzazione del corpo, che caratterizza l’Europa e l’Occidente almeno a partire dal XIII secolo (quando, con sempre maggior frequenza, il medico compare da protagonista sulla scena del parto, insieme all’ostetrica) e che ha di fatto espropriato gli individui dei saperi diffusi, collettivi e sociali sulla vita ( i corpi e le loro trasformazioni, dalla nascita alla morte) a favore dello Stato e, nell’ultimo secolo, delle multinazionali globali del farmaco. Dall’altro, come evento storico, rappresenta il compromesso- è sempre bene non scordarlo- tra le istanze clericali, conservatrici, democristiane del paese sede dello Stato Vaticano e quelle laiche e progressiste.
Proprio per questo motivo, la 194 nasce carente in materia d’obiezione e consente la situazione attuale, che ormai sfiora l’emergenza in molte regioni italiane, dovuta anche all’opportunismo carrierista di molti medici/che, dal momento che i pochi non obiettori vedono di fatto molto limitate le proprie oppurtunità di avanzamento professionale.
Affrontare il problema dell’obiezione oggi, non è solo questione di piccoli aggiustamenti strutturali, non si tratta solo di fluidificare la mobilità del personale, razionalizzandone la distribuzione all’interno delle singole strutture sanitarie, provvedimento che appare comunque urgente; il problema va sostanzialmente e coraggiosamente ridiscusso a partire da considerazioni più ampie, senza prescindere dalla storia specifica che ha posto in essere la stessa legge 194 e da un ripensamento critico dei processi sociali ed economici che sempre più ci espropriano dei nostri corpi e dei nostri saperi su essi.