Il 30 marzo 1976 Israele soffocava nel sangue una protesta in Galilea contro la confisca di terreni, uccidendo sette palestinesi e ferendone a decine … da allora il 30 marzo di ogni anno il popolo palestinese celebra la “Giornata della Terra”: migliaia di palestinesi scendono in strada per ricordare quanto avvenuto nel 1976 e per rinnovarne le istanze, dal riconoscimento della propria lotta al diritto alla terra e per la riappropriazione di quella letteralmente rubata dallo stato sionista … manifestazioni e proteste che si sono ripetute anche quest’anno e che puntualmente sono state represse dall’esercito israeliano.
Sono 65 anni che il popolo palestinese, privato dei propri territori, lotta per il riconoscimento dei propri diritti e per l’affermazione della propria autodeterminazione, denunciando senza soste i crimini perpetrati dalle politiche neo colonialiste israeliane, basate sullo sterminio sistematico, sulla distruzione, sulla confisca, sulla presa di possesso e sull’apartheid di un intero popolo, della sua storia, della sua terra e della sua futura sopravvivenza.
Il 17 marzo scorso, in occasione di un incontro organizzato dal Centro di Documentazione Falastin di Torino, Rosa Schiano, fotoreporter e attivista dell’ISM, International Solidarity Movement, ha raccontato la sua esperienza e denunciato, con le sue fotografie e la sua testimonianza, la metodica e coerente politica criminale di Israele.
Rosa Schiano è l’unica attivista italiana rimasta a Gaza dopo l’uccisione di Vittorio Arrigoni: sul suo lavoro, e con il suo consenso, il Collettivo MeDeA, in occasione della serata di autofinanziamento organizzata il 4 gennaio scorso, ha allestito una mostra stampando e pubblicando alcune delle sue fotografie.
Le foto di Rosa toccano il cuore, documentano guerra e atrocità ma parlano anche della vita quotidiana, la vita dei palestinesi rinchiusi nella Striscia di Gaza.
Le potete trovare sulla pagina Facebook http://www.facebook.com/rosa.schiano.stayhuman
Twitter http://twitter.com/rosa_schiano
Blog http://ilblogdioliva.blogspot.it/
Così come le immagini, anche i suoi racconti sono coinvolgenti, emozionanti e forti: Rosa Schiano mostra attraverso foto e video come, in tempo di cosiddetta pace, lei e altri attivisti internazionali debbano accompagnare i contadini palestinesi nei campi coltivati per evitare che vengano colpiti dalle pallottole israeliane mentre cercano faticosamente di lavorare la terra o come debbano scortare i pescatori palestinesi nelle proprie acque territoriali per permettere loro di gettare le reti e pescare qualcosa.
Rosa Schiano ci porta nel cuore della difficilissima sopravvivenza dei palestinesi di Gaza, che sono alla continua e incontrollata mercé di atti di vera e propria crudeltà da parte di Israele: la vita dei palestinesi è vita sotto costante assedio, continuare a vivere subendo un blocco illegale via terra e via mare è una prova di lotta e di coraggio estremi.
Dal 1994 l’area in cui Israele permette ai pescatori palestinesi di svolgere la loro attività è stata progressivamente e arbitrariamente ridotta, passando dalle 20 miglia nautiche previste dagli accordi di Oslo, alle 3 miglia residue a seguito del blocco navale del 2009, imposto e mantenuto con le armi, le intimidazioni, gli arresti illegali e le detenzioni illegittime.
La zona di pesca rigidamente limitata, in combinazione con il divieto quasi totale delle esportazioni, ha portato l’industria della pesca di Gaza sull’orlo del collasso, riducendo il numero di lavoratori in essa impegnati dai 10 mila del 1999 ai 3 mila e duecento di oggi, con il risultato che il 98% dei pescatori vive al di sotto della soglia di povertà.
Gli accordi per il cessate il fuoco del 21 novembre 2012 tra Israele e l’Autorità palestinese, seguiti all’attacco sionista “Pillar of Cloud”, ha in teoria esteso il limite alle 6 miglia nautiche, con l’obiettivo di conseguire un maggior pescato, ma gli attacchi contro i pescatori sono comunque continuati e anche entro il precedente limite di 3 miglia nautiche, infatti sono le stesse navi israeliane a spingere i pescherecci fuori dalle acque territoriali palestinesi per aver la “scusa” di sequestrare le loro piccole imbarcazioni ed arrestare per uno o due giorni i pescatori.
Ma non basta: tra il 22 novembre 2012 e il 28 febbraio 2013 si sono registrati 41 attacchi israeliani con armi da fuoco che hanno ferito 4 persone, 42 pescatori sono stati arrestati, 8 barche sono state danneggiate e altre 8 sono state sequestrate.
Questo in mare. E a terra?
La “buffer zone” è quella porzione di terra palestinese nei pressi del confine che Israele ha di fatto sequestrato sparando a chiunque osi avvicinarsi: Israele ha dichiarato unilateralmente “no-go zone” la fascia di terreno che corre vicino al confine fino ad una distanza di 300 metri.
Si tratta di un’area ormai completamente inaccessibile per i palestinesi, anche per chi lì aveva le sue terre e le coltivava.
La realtà è, se possibile, anche peggiore, infatti secondo un rapporto ONU la porzione di terra effettiva in cui l’accesso viene definito “ad alto rischio” arriva fino ad un chilometro e mezzo, talvolta due chilometri, di distanza dal confine.
Tenendo conto del fatto che il 35% delle terre coltivabili di Gaza si trova in questa zona e che per i contadini è difficile se non impossibile riuscire ad effettuare semina e raccolta nei terreni che a loro appartengono e che nella “buffer zone” sono situati, si può facilmente cogliere la portata della catastrofe: la produzione agricola è letteralmente collassata, dato che è diminuita di circa 75mila tonnellate annue.
In un territorio già stremato da un assedio che non permette l’importazione di molti beni essenziali e vitali, che crea povertà e disoccupazione in una delle aree più popolate del mondo, questa dichiarata e precisa politica di aggressione ai contadini e all’agricoltura in generale è un ulteriore crimine che si va a sommare alla ormai lunghissima lista di violazioni e atrocità di cui Israele si è reso colpevole.
Racconta Rosa Schiano, commentando fotografie e video, di come i cecchini sparino continuamente contro i contadini che cercano di lavorare la terra e raccogliere quanto la terra offre stando sempre chinati, quasi strisciando per terra nei campi… e solo quando sono presenti i volontari internazionali i cecchini sparano un po’ più in alto, “cortesia” che non riservano certo ai palestinesi quando si trovano da soli.
Per questo diventa importante la presenza dei solidali.
Rosa è stata anche testimone dal vivo dei bombardamenti israeliani e dell’eroica risposta della popolazione di Gaza durante l’attacco militare israeliano Pillar of Cloud tra il 14 e il 21 novembre del 2012.
Quando inizia l’attacco militare, Gaza è a tutti gli effetti una zona di guerra, per questo si cerca di fare evacuare tutti gli stranieri dato che si ritiene sia troppo pericoloso rimanere, per gli attivisti come per gli operatori dell’informazione. Rosa si rifiuta di partire e decide di rimane per continuare a raccontare la guerra attraverso i suoi reportage fotografici e la diffusione costante e capillare di informazioni sull’evolversi dell’escalation militare, con l’intento di raccontare al mondo i giorni di terrore vissuti dal popolo palestinese.
Distruzioni, morti, feriti … tante donne, tanti bambini e tanti uomini barbaramente trucidati, l’aviazione militare israeliana ha bombardato ovunque in centro città, ovunque si era in pericolo.
Le immagini dell’ospedale di Gaza con le urla dei tanti bambini dai corpi straziati lacerano il cuore e documentano la guerra e la brutalità subita: 170 palestinesi uccisi dagli F16 israeliani, di cui almeno 43 bambini. Secondo i dati forniti dal governo di Gaza, i pesanti bombardamenti contro la Striscia hanno provocato danni per 1,245 miliardi di dollari: in otto giorni l’aviazione israeliana ha raso al suolo oltre 200 abitazioni e ne ha parzialmente danneggiate 8mila, ulteriore fattore di indebolimento della già fragile economia interna di Gaza.
Rosa Schiano racconta la vicenda della famiglia Al Dalu: il 18 novembre 2012, nel quinto giorno dell’ attacco, l’aviazione militare israeliana ha bombardato un edificio di tre piani a Gaza city, distruggendolo completamente e sterminando l’intera famiglia Al Dalu, quattro bambini di 11 mesi, 3, 5 e 6 anni, la loro mamma e il loro papa, due zie e le due nonne trucidati. La foto dei quattro corpicini distesi su un tavolo d’acciaio è una delle immagini più crude di quella che è guerra contro un intero popolo, guerra riportata a noi anche dai suoni e dai colpi dei bombardamenti notturni, registrati dalla telecamera di Rosa posizionata al di fuori della finestra.
Nemmeno con gli accordi del 21 novembre 2012, a seguito del cessate il fuoco, accordi che hanno stabilito che le forze militari israeliane devono astenersi dal colpire i residenti nelle aree lungo il confine e cessare le ostilità nella Striscia di Gaza, via terra, via mare e via aria, compreso le incursioni e le uccisioni mirate, gli attacchi militari si sono fermati, vi sono state infatti continue violazioni del cessate il fuoco e le offensive militari israeliani via terra e via mare si sono susseguite a partire dal giorno immediatamente successivo agli accordi e gli aerei militari israeliani hanno sorvolato costantemente il cielo della Striscia di Gaza, provocando altri morti e feriti.
Ma a Gaza, l’occupazione, il blocco israeliano, la povertà assoluta si accompagnano ad un problema forse ancora più grave: la scarsità idrica e la possibilità di accedere ad un’acqua sicura.
Uno studio delle Nazioni Unite prefigura il futuro prossimo della Striscia di Gaza, territorio in cui nel 2020 le falde acquifere saranno irreparabilmente danneggiate se sfruttamento e inquinamento continueranno a questi ritmi. Una situazione al limite le cui cause risiedono principalmente in due fattori: l’eccessivo inquinamento, anche dovuto all’assenza di controlli delle acque reflue, e lo smodato sfruttamento dell’unica falda acquifera disponibile, condivisa con Israele ed Egitto.
Una popolazione di 1,6 milioni di abitanti, attinge quasi esclusivamente alla falda acquifera sotterranea che attraversa la Striscia e che si ricarica annualmente alla portata di 50/60 milioni di metri cubi tramite le precipitazioni atmosferiche e gli acquiferi confinanti delle colline di Hebron. La domanda corrente, 160 milioni di metri cubi all’anno che rappresenta un consumo pro capite di 70/90 litri al giorno a seconda della stagione e comunque al di sotto dello standard di 100 litri fissato dall’OMS, supera in maniera consistente la portata della falda.
Lo sfruttamento eccessivo e il successivo e conseguente abbassamento delle falde acquifere richiamano acque salate marine che si infiltrano dal Mediterraneo e che in combinazione con i nitrati residui dei fertilizzanti hanno reso il 90% dell’acqua di Gaza inadatta sia al consumo umano che all’uso agricolo. A questo ritmo la falda diventerà inutilizzabile entro il 2016 e, senza un intervento sostanziale, entro il 2020 il danno sarà di fatto irreversibile.
L’altro fattore di criticità e rischio riguarda il peso ambientale del trattamento delle acque di scarico: solo il 25% delle acque reflue, 30.000 metri cubi, viene quotidianamente trattato e riutilizzato per scopi agricoli; mentre 90.000 metri cubi, quindi 33 milioni di metri cubi all’anno, vengono riversati nel Mediterraneo, inquinando e ovviamente causando seri problemi per quanto riguarda la salute della popolazione, l’ecosistema e l’industria ittica … circolo micidiale che potrebbe essere interrotto con il finanziamento, e la costruzione, di un impianto di dissalazione, che trasformi l’acqua da salata a dolce, per un impegno complessivo di 500 milioni di dollari.
L’assedio e i bombardamenti, le uccisioni dii civili, l’uso di armi illegali, l’occupazione arbitraria e illecita di territori palestinesi, la costruzione del muro che sugella un regime di apartheid, la discriminazione verso i cittadini e le cittadine palestinesi di Israele, la distruzione dei campi coltivati, le limitazioni all’accesso ai servizi essenziali quali acqua, elettricità, istruzione e sanità, sono crimini contro l’umanità.
Vogliamo ricordare che il Governo Italiano ha stipulato nel 2003, e il Parlamento lo ha votato nel 2005, un accordo quadro di cooperazione militare con Israele, unico in Medio Oriente a detenere armi nucleari – non ha nemmeno firmato il Trattato di non proliferazione nucleare – che, basandosi soprattutto sull’esportazione e l’importazione di armamenti in modo organico e completo, rende di fatto l’Italia complice della politica di distruzione e di guerra dello stato sionista.
I palestinesi hanno chiesto a Rosa Schiano una cosa molto chiara: raccontare la vita di Gaza e Rosa lo ha fatto con le immagini, fotografie di donne e uomini che resistono, capaci di tenerezza e di sorrisi, di rabbia e determinazione, decisi a non soccombere né alle armi né a condizioni di vita inaccettabili.
Facciamo nostra questa forte richiesta che arriva da Gaza e dalla Palestina tutta.
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