Ieri a Torino Chiara Lalli, saggista e filosofa bioetica, ha presentato il suo nuovo libro, una sorta di di storia dell’obiezione di coscienza in Italia. Ciò che principalmente emerge dalla sua documentazione è il cambiamento che è intervenuto da quando se ne è cominciato a parlare, al tempo in cui si riferiva quasi esclusivamente alla renitenza alla leva.
A partire dal 1972, con l’introduzione del servizio civile, il concetto cambia però di significato, perlomeno all’interno della giurisprudenza. L’obiezione di coscienza diventa un diritto positivo. La legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza consacrerà questa nuova interpretazione e cambierà il corso della storia dell’obiezione di coscienza nella penisola: da simbolo forte di opposizione al potere diventerà addirittura uno strumento per raggiungerlo.
Il risultato è che ora abbiamo ora una legge che trova enormi difficoltà a essere effettivamente applicata e medici che, lungi dal rischiare il carcere, spesso ottengono riconoscimenti e fanno addirittura carriera, come nella Lombardia del ciellino Formigoni. La percentuale di obiettori tende costantemente ad aumentare, perché è «una scelta facile e indolore» che rende ormai carta straccia «la libera scelta iniziale (diventare ginecologi e lavorare nel pubblico), che vincola l’individuo a doveri e non solo a diritti professionali e privilegi».
Le disavventure da incubo a cui possono andare incontro le donne in un ospedale pubblico sono ormai talmente ordinarie che non fanno nemmeno più notizia. Senza dimenticare che una legge repressiva sul testamento biologico è ormai alle porte.
Si aggiungono tutte le proposte di legge regionale che promuovono l’ingresso dei volontari antiabortisti nei consultori pubblici e che di fatto attaccano ai fianchi la legge 194.
Qui di seguito la chiaccherata radiofonica che abbiamo avuto questa mattina con Chiara Lalli ai microfoni di Radio Blackout.