In occasione della due giorni organizzata in Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, in tutte le sue sfaccettature. Dalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. Un’occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di “contenimento”, marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.
Anche noi abbiamo partecipato al percorso radiofonico con un approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l’arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l’esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l’esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Abbiamo raccontato tante storie di donne, analizzato le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraversato il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.
Dallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati, da Vicenza a L’Aquila, passando per la Valsusa, non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.
La violenza sessuale durante guerre e conflitti non è una novità. Dai tempi dell’antica Grecia ad oggi, le donne sono state vittime: imprigionate, torturate, violentate, usate come schiave. Per lungo tempo la violenza sessuale sulle donne è stata vista e anche tollerata come uno degli inevitabili mali della guerra. In Bosnia, però, durante la guerra, i nazionalisti serbi hanno perfezionato questa pratica, trasformando lo stupro in una precisa strategia, pianificata e coordinata. Per la prima volta nella storia della guerra, in Bosnia Erzegovina gli stupri sono diventati parte di una strategia militare. In Bosnia, il corpo femminile è stato letteralmente, territorio di contesa. In quel contesto si è trattato di devastazione premeditata e ‘scientificamente’ fondata. Lo stupro, in Bosnia come in Ruanda, in Somalia, in Algeria e in ogni guerra moderna, non è stata ‘conseguenza’ della guerra ma arma che ha affiancato le operazioni di pulizia etnica. E a ribadire quanto la violenza contro le donne non sia fatto eccezionale ed episodico, la teoria e l’esperienza femministe ci insegnano che la violenza commessa contro le donne in tempo di guerra replica e perpetua la violenza contro le donne in tempo di pace.
Per la rassegna stampa invece, abbiamo raccolto alcuni casi, pochi rispetto ai numerosissimi fatti riportati dalle cronache….abbiamo scelto quelli che ci sembrano più emblematici per le dinamiche che mettono in campo. Si tratta sempre di violenze e abusi agiti da uomini in divisa. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, soldati, militari…ma anche vigili urbani e perchè no preti e sacerdoti.
Abbiamo inoltre ricordato che per lo striscione “Nei centri di espulsione la polizia stupra” a Milano, il 25 novembre del 2009, le compagne vennero pesantemente caricate e prese a mazzate: quella verità non doveva emergere, non doveva essere esplicitata. Quando si esplicitano queste violenze, le si nomina, le divise si innervosiscono in maniera particolare, Anche quando siamo andate all’udienza per Marta, la compagna pisana molestata durante un fermo di polizia in valsusa, eravamo fuori dal tribunale di Torino in presidio, abbiamo cercato di appendere uno striscione dai toni molto simili, la celere ci ha bloccate, caricate ferendo alcune di noi e in una decina siamo state pure denunciate.
Insomma, tutte le volte che come compagne abbiamo alzato la voce sulle violenze in divisa agite sulle donne, dall’altra parte c’è sempre stata una reazione forte e chiara, questo forse ci indica e significa che in quei momenti eravamo sulla giusta strada. La strada della reazione, dell’autodeterminazione. Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta, recita uno slogan che ci ha accompagnato in tante manifestazioni femministe e di donne degli ultimi anni. Probabilmente il nodo è tutto lì.
Non avere paura di reagire, non sentirsi colpevoli. Scardinare i luoghi comuni che vogliono le donne deboli, vittime, sempre e comunque pacifiche e nonviolente. Mettere in campo la nostra forza per contrastare la paura in cui e con cui ci vorrebbero rinchiudere. Imparare ad difenderci, ad autodifenderci in maniera collettiva e autonoma. Imparare a reagire e ad autodeterminarci. E soprattutto non pensare di poter delegare a questi personaggi la nostra sicurezza e la tutela dei nostri corpi. Potrebbe essere la strada giusta contro la violenza maschile, una volta in più se questa indossa una divisa, rappresenta e viene legittimata dalle istituzioni statali.
Per la rubrica MALERBE, con Silvia, la nostra esperta, abbiamo parlato di arnica: come e quando raccoglierla, come trasformarla e quando utilizzarla.
Qui la prima parte della trasmissione:
il colpo della strega_9giugno2014_primaparte
e qui potete riascoltare la seconda:
il colpo della strega_9giugno2014_secondaparte