12 maggio 1977: muore Giorgiana Masi. Oggi apriamo la trasmissione con la sua storia e a lei dedichiamo la trasmissione.
Giorgiana, studentessa diciottenne del Liceo Scientifico Pasteur di Roma è stata ammazzata il 12 maggio del 1977 in piazza Belli, intorno alle ore 20.00, dalle pallottole esplose dalle squadre speciali del ministro degli Interni Francesco Cossiga, al termine di una giornata di mobilitazione, e scontri, che aveva visto in Piazza Navona il sit- in organizzato dal Partito Radicale per celebrare il terzo anno dalla vittoria del referendum sul divorzio, iniziativa cui si era unito tutto il movimento a sfidare il divieto imposto da Cossiga ad ogni tipo di manifestazione pubblica a Roma ad eccezione di quelle delle forze politiche dell’arco costituzionale, per tutto il mese di maggio.
Puntata dedicata all’aborto clandestino prima dell’approvazione delle Legge 194.
Parlare di aborto, e di aborto clandestino in particolare, cioè parlare di cosa era prima della legge 194, significa rintracciare le prime narrazioni che le donne hanno fatto su se stesse, partendo da sé per diventare soggette pubbliche a tutti gli effetti.
Parlare di aborto significa parlare della presa di parola da parte delle donne, che hanno cominciato a raccontarsi, a uscire allo scoperto, a riconoscersi l’una nell’altra uscendo dall’isolamento domestico in cui erano costrette. Raccontare di sé ha voluto dire iniziare a spezzare le catene, mettere in discussione la propria condizione, iniziare a fare la rivoluzione.
Per iniziare abbiamo presentato alcune testimonianze di donne che hanno abortito prima dell’approvazione della legge 194…sono brani tratti da uno dei tanti documenti che il movimento femminista degli anni ’70 pubblicò nell’ambito delle mobilitazioni contro l’aborto clandestino, in occasione dei processi contro le donne che avevano abortito e per un aborto libero, sicuro e gratuito.
In questo contesto, l‘emersione dal silenzio delle questioni riguardanti il tema del corpo, accompagnato dalle parole che descrivono l‘aborto, provocano un vero e proprio choc culturale, hanno l‘effetto di una deflagrazione in una società ancora chiusa alle novità e al cambiamento, e soprattutto scarsamente informata come quella italiana.
Con la questione aborto siamo di fronte ad una delle chiavi interpretative principali delle lotte e delle conquiste del decennio, non solo rispetto alle modificazioni sociali e culturali che implica nei rapporti tra i sessi, ma anche rispetto agli equilibri esterni e interni dei partiti che, almeno dal 1975 in poi, si trovano obbligati a portare avanti un discorso su un tema di cui all’inizio non hanno né linguaggio né concetti, ma che devono necessariamente affrontare.
Reato di massa per antonomasia, l‘aborto produce trasgressione a macchia d‘olio. Nel decennio settanta si pone come questione rilevante il discorso giuridico sull’aborto. I processi che si celebrano per il reato di aborto clandestino in diversi paesi e che vedono schierarsi, a fianco di sfortunate imputate, centinaia di donne famose e meno famose che si autoaccusano pubblicamente al grido di abbiamo abortito tutte!, pongono un problema molto serio al legislatore.
IL PROCESSO PIEROBON – Gigliola Pierobon di San Martino di Lupari provincia di Padova, abortisce all’età di diciassette anni, nel 1967. Si procura l‘indirizzo di una praticona e, con trentamila lire in tasca, si reca a Padova una mattina di agosto. Per le complicanze di quell’aborto rudimentale è costretta a curarsi in casa, per paura della denuncia, mettendo in questo modo a rischio la sua vita. E‘ però fortunata e supera le complicanze. Gigliola Pierobon viene invece condannata il 7 giugno 1973 dal tribunale di Padova e la sentenza finale sarà di perdono giudiziale. Umiliata dal processo, colpevole per la legge, perdonata e comunque assassina. La clemenza del giudice è un atto di pietà eseguito soltanto in nome del fatto che, nel frattempo, Gigliola si è sposata, è rimasta incinta e questa volta non ha abortito. Una scelta di vita che, secondo la morale cattolica, la redime. Sposandosi e procreando, ella è tornata a combaciare con il modello di donna madre di famiglia caro alla tradizione italiana cattolica e questo le merita il perdono della società e della legge.
Mentre la politica italiana sembra deliberatamente ignorare quanto sta accadendo, le donne cercano di praticare i propri diritti che chiedono con urgenza. E questo avviene non solo attraverso le manifestazioni di piazza, che pure sono momento determinante, ma anche attraverso ragionamenti e cambiamenti che avvengono internamente al movimento delle donne. A partire dalla metà del decennio – attorno al 1974 – si assiste alla diffusione e trasformazione di molti gruppi, nati sulla scia del sessantotto e che avevano diffuso la pratica dell‘autocoscienza, in gruppi denominati di self help, che combinano ora l‘analisi sul sé alla scoperta del corpo e alla pratica dell‘aborto con modalità di autogestione.
Continua nella prossima puntata…
Per la rubrica “Donne in arte”, Wanda Raheli, pittrice e femminista di origine bolognese attivissima nel movimento romano, è figura di cui poco si è scritto nonostante l’incredibile talento e la vicenda politica decisamente suggestiva. Nata nel 1926 e mancata pochi giorni prima del 25 Aprile 2005, fu personaggio quasi distante, solitaria come molti grandi artisti, capace con un tratto, una macchia di colore, una matita, di dare forma a sensazioni e idee.
Per riascolta la puntata, qui la prima parte:
il colpo della strega_12maggio2014_primaparte
e qui la seconda:
il colpo della strega_12maggio2014_secondaparte