Nel 2010, con il crack dei debiti irlandese e greco inizia ufficialmente la crisi europea, approdo non ultimo della crisi globale cominciata nel 2007 a partire da un settore specifico del sistema creditizio statunitense, quello degli ormai famigerati mutui subprime. Si trattava di mutuiconcessi a persone o senza reddito o senza lavoro o senza risparmi e quindi presumibilmente con scarse possibilità di pagare le rate, persone il cui rischio di insolvenza dalle banche stesse era ben conosciuto ma opportunamente distribuito sul mercato finanziario nel suo complesso con il sistema della cartolarizzazione, ossia inserendo questi mutui in differenti prodotti finanziari, venduti ad altre banche e non solo.
È un terremoto, una sorta di reazione a catena del disastro che attraversa l’economia prima finanziaria e poi bancaria per abbattersi, passaggio dopo passaggio, su quella che viene definita economia reale, vale a dire, semplicemente, le nostre vite. Siamo noicostretti a pagare i costi sociali, culturali, ambientali, politici ed economici di un meccanismo perverso che vorrebbe far ricadere su tutte e tutti il prezzo di una corsa al profitto che – intenzionalmente e opportunamente poco nominato – è l’unica legge che regola le dinamiche economiche del capitalismo, che si tratti di salvare le banche, scongiurare il tracollo dell’euro o uscire dalla crisi.
In questo scenario, dipinto come una sorta di in/evitabile apocalisse, abbiamo imparato a muoverci, con questa terminologia, eccessiva ad arte, abbiamo dovuto prendere confidenza, entro queste dinamiche, che paiono date,abbiamo dovuto capire come procedere per renderci conto che, al di là della retorica dei media, delle parole della politica istituzionale che hanno smarrito ogni significato significato, dietro le chiacchiere sulla crescita e le politiche di austerità, gli obiettivi reali sono sempre gli stessi: distruggere quello che rimane dello Stato sociale, cancellare ogni diritto dei lavoratori e delle lavoratrici, ridurre i salari, tagliare sanità, istruzione, servizi, limitare gli ammortizzatori sociali e, infine, intervenire su tutto il settore pubblico progressivamente incidendo su pensioni, impiego e buste paga.
“Non possiamo fare la fine della Grecia!” quante volte lo abbiamo sentito ripetere?
La Grecia spauracchio, con le sue università chiuse, i bambini che svengono per la fame in classe, le donne che non si possono più permettere di partorire in ospedale perché costa troppo, le migliaia di persone senza lavoro da un giorno all’altro, insegnanti, giornalisti, impiegati pubblici, gli stipendi da fame, i servizi al collasso, i tassi di disoccupazione altissimi.
La Grecia paradigma di tutto quello che c’è da sapere sulla crisi del debito: dalla corruzione di un’intera classe politica connivente e complice della banche dei titoli tossici, aglisprechi legati ad opere inutili – lì non la Tav ma le faraoniche Olimpiadi del 2004 – dagli investimenti insostenibili già decisi a favore di quegli stessi paesi che hanno il potere di decidere i cosiddetti aiuti(è il caso delle spese militari verso la Germania); daimercati che speculano ai danni di un intero paese e sulla pelle della sua popolazione che da quei mercati sono costretti a dipendere totalmente, alfascismo che di tutto ciò si nutre e ritorna ad alzare la testa.
La Grecia diventata, in una successione di piani neanche troppo graduale, il nostro orizzonte prossimo futuro…ma siamo davvero sicure e sicuri che non sia proprio questa l’intenzione?
… fare la fine della Grecia, essere Grecia l’Europa tutta?
… saldare così i due estremi della catena che cinge e unisce il barcone stracarico di migranti che parte dalle coste della Libia con l’ospedale che chiude a Torino, Italia?
E se invece assumessimo la Grecia come esempio?
Esempio di costruzione di reti di relazione e solidarietà, dalle mense popolari nei quartieri di Atene alle militanti di Donne contro il debito e le misure di austerità di Tessalonica, la Grecia come teatro di mobilitazioni generose, continue, forti e appassionate, la Grecia come possibilità di conflitto, come sollecitazione a cucire trame di riflessione non astratta, modi di immaginare e comporre sostegno, appoggio, scambio che abbiano come orizzonte una lotta comune, condivisa, a partire dalle nostre realtà, dai nostri territori, dalle nostre esperienze quotidiane.
Sono questi nodi che come donne, femministe, antagoniste e, soprattutto, anticapitaliste conosciamo bene, sono punti cruciali di una riflessione che inevitabilmente e logicamente coniuga il dato economico con quello di genere, soprattutto ora.
Possiamo affermare con sicurezzache il debito è nella vita delle donne, non solo in quanto conseguenza diretta e inevitabile della crisi, ma anche e soprattutto dal momento che le cosiddette ricette per combattere la crisi stessa hanno un impatto drammatico sulle nostre esistenze … sappiamo benissimo in cosa, concretamente, si traducano: taglio delle spese sociali e stretta sull’occupazione nei settori pubblici, ovvero lavoro di cura scaricato sulle donne, Welfare domestico gratuito e garantito all’infinito – in particolare sulle donne migranti – e poco lavoro extradomestico, mal pagato e qualitativamente peggiore in quei settori in cui tradizionalmente si concentra l’occupazione femminile.
Non è certo casuale che le prime riflessioni e le prime iniziative, tra il 2010 e il 2011, in Grecia, in Italia e in molti altri paesi europei abbiano visto le donne determinate nell’imporre ai movimenti sociali, ai sindacati, ai lavoratori e alle lavoratrici in lotta la centralità, in ciascun paese (in questa fase necessariamente in un contesto europeo o comunque occidentale), del discorso sul Welfare, quindi sanità, servizi e istruzione, con l’intento di opporsi al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Centrale Europea e ai diversi governi della zona Euro e di fermarli.
È un percorso che procede per piccoli passi, e in questo senso abbiamo deciso di raccogliere l’invito di Helleniko, ambulatorio sociale metropolitano attivo ad Atene dal 2011 in cui, al mese di aprile, sono state visitate oltre 8000 persone senza assistenza sanitaria, disoccupate, povere, grazie al lavoro e all’impegno quotidiano di personale medico e infermieristico, che opera in uno spazio occupato, una ex caserma.
Helleniko, attraverso i suoi volontari e volontarie chiede a tutte e a tutti noi solidarietà, e quindi, certo, farmaci e sostegno economico, ma soprattutto ci chiama ad una riflessione politica che possa valicare i diversi confini nazionali e ci spinga a interrogarci sulle prospettive di una società senza diritti, in cui la salute è un lusso per i più e lo Stato sociale un detrito del passato da cancellare definitivamente.
La campagna di solidarietà, esortano dalla Grecia, quasi dovrebbe ridursi a pretesto per riappropriarci del discorso sui servizi come bene pubblico collettivo, perché è vero che termini quali risparmio, spreco o anche corruzione svelano realtà concrete con le quali tutte e tutti, semplicemente da pazienti, ci siamo dovuti confrontare o scontrare, ma è altrettanto vero che questi stessi termini vengono ormai intenzionalmente accostati a tutto ciò che è pubblico con lo scopo di far passare e accettare come unico sistema di riferimento virtuoso, professionale e competente quello privato o privatizzato.
È necessario muoversi sempre e comunque nell’orizzonte di un’economia di mercato che guarda al Welfare come terreno di caccia per nuove opportunità di profitto o piuttosto è possibile usare la crisi come occasione per immaginare un sistema diverso, i cui cardini siano accesso, partecipazione e redistribuzione delle risorse, delle capacità, delle esperienze, delle pratiche e della qualità?
E, infine, sarà possibile finalmente interrogarsi su questo nostro occidente medicalizzato, fertile di patologie sempre nuove e gonfio di farmaci, in cui la medicina sembra ormai compiutamente la medicina del capitale?
Aderiamo quindi alla campagna di solidarietà con la Grecia promossa dalla rete Donne nella crisi, partita nel mese di marzo con focus sulla situazione dell’assistenza sanitaria al parto negli ospedali greci e che ad oggi prosegue appunto con la raccolta di medicinali e soldi con e per Helleniko: un camper sta attraversando l’Italia toccando città diverse da nord a sud, portando una mostra sugli effetti delle politiche di austerità sui sistemi sanitari europei e contemporaneamente raccogliendo quanto richiesto dai medici e dalle mediche di Atene.
L’obiettivo è collegare lo stato dell’assistenza sanitaria in Grecia, danno collaterale e punto finale allo stesso tempo della crisi e dei suoi presunti rimedi, con quanto sta accadendo e accadrà in Italia, alla luce della prevista e ulteriore riduzione della spesa sanitaria, dal 7,1% al 6% entro il 2017.
Si prospetta il peggioramento di una situazione già caratterizzata da licenziamenti di lavoratrici e lavoratori, chiusura di reparti o di interi ospedali, allungamento delle liste d’attesa, abbassamento della qualità delle cure, aumento del ticket nonché esternalizzazione dei servizi e ritmi insostenibili per il personale, con conseguenze facilmente immaginabili per malati e malate.
Abbiamo organizzato la tappa di Torino, prevista per il 14 novembre con l’arrivo del camper e di una medica di Helleniko in Piazza Madama Cristina alle ore 17, e, riconoscendoci nello spirito della campagna, per cui la solidarietà non sostituisce ma accompagna le lotte e costruisce quelle relazioni che le lotte rendono possibili, vi invitiamo per discutere insieme di tutto questo all’assemblea che si terrà venerdì 8 novembre alle ore 20.30 presso la Sala dell’Antico Macello, via Matteo Pescatore 7, Torino.