In questa settimana di riflessioni post 13 febbraio, abbiamo raccolto tra le compagne di MeDeA, ma non solo, anche tra le tante donne, amiche, compagne che ci hanno scritto o con cui ci siamo confrontate, una serie di contributi e ragionamenti a commento delle grandi manifestazioni che si sono date domenica scorsa. Iniziamo qui a pubblicare il primo intervento che ci è arrivato da una compagna di MeDeA.
Se bastano i numeri…Considerazioni diffuse, qua e là, all’indomani della giornata del 13 febbraio.
Centomila a Torino, cifre simili anche a Roma, Milano e in tante e varie altre città italiane. Piazze piene, una mobilitazione, negli obiettivi delle organizzatrici, davvero riuscita e, molto più che non negli appelli, nelle convocazioni e negli articoli che l’hanno indirizzata e supportata, chiara nella sua sostanza: è bastato percorrere il centro di Torino per rendersene conto… l’unico slogan che ha sempre attraversato il corteo invitava esplicitamente Silvio Berlusconi a dimettersi o ne auspicava l’ingresso nelle patrie galere.
Una mobilitazione di donne? Non proprio.
Una mobilitazione in cui le donne si ponessero al centro del discorso politico, sociale e culturale? Neppure.
Ma, semplicemente, è stata una mobilitazione?
In un giorno specifico, all’improvviso, come per altri appuntamenti che hanno segnato la politica italiana degli ultimi anni, un giornale, o uno scrittore, o una trasmissione televisiva o uno specifico segmento culturale decidono che è arrivato il momento di riempire le piazze, di indignarsi, di impegnarsi e, infine, di chiamare all’appello, in questo caso, le donne, ossia, per la precisione, le non “gnocche”, le non veline, le non prostitute, le non oche, le non per- male.
Che una sacrosanta, seppur tardiva, rabbia abbia trovato domenica un canale comune, pubblico e visibile di sfogo dopo mesi di annichilimento, è un dato importante che va letto con attenzione, ma va pur detto che nella stragrande maggioranza, quel variegato universo fatto di collettivi, gruppi e singole, autorevoli o sconosciute, che ancora si riconoscono nel termine “femminista”, abbia scelto di non aderire, di non partecipare o di farlo in modo critico.
Anche questo è un dato su cui riflettere.
Le parole del femminismo e dei femminismi, pronunciate nei giorni precedenti la data del “Se non ora quando?”, non sono stare capite, e non è storia di oggi: quel linguaggio ha riferimenti, usa voci e propone analisi che, chiariamolo subito, non rappresentano dogmi indiscutibili, ma sono irriducibilmente incompatibili con la realtà di una giornata che ha eretto a suo fondamento i comportamenti di Silvio Berlusconi.
Affrontare il discorso sul rapporto tra sesso e potere, rigettare qualsiasi forma di strumentalizzazione in proprio nome, discutere di sessualità e di libertà ad essa legata, esaminare, e contestare, modelli e ruoli, maschili, femminili, porre al centro la differenza e le differenze, finalmente riparlare di patriarcato e di capitalismo come elementi inestricabili delle nostre vite, affermare l’irriducibile alterità dei nostri corpi, non da moraliste né bacchettone: tutto questo domenica 13 febbraio era pressoché assente perché poco percepibile nelle riflessioni, negli argomenti, nell’essenza di una giornata in cui fin dalla sua preparazione abbiamo trovato poco degli elementi che contraddistinguono la politica delle donne, come espressione di lotte reali, di pratiche di relazione, di centralità del partire da sé.
Appello, contenuti, modi di manifestare ci sono stati dati, punto.
Chi ha provato, magari in modo non del tutto efficace e distinguibile a recarvi una contraddizione, per esempio con una presenza differente o con una bandiera, quella no tav, o è stato sommerso e schiacciato da quella che a tratti è sembrata una chiassosa e festaiola sfilata carnevalesca o è stato affrontato a grida e strattoni e accusato, curiosamente!, di strumentalizzazione.
Altro dato su cui riflettere, il fatto che molti dei partecipanti, che hanno trovato logico sfilare accanto a rappresentanti di partito, con relativa coda mediatica, in una città che si appresta a eleggere il nuovo sindaco, non abbiamo tollerato in quel corteo gli unici simboli di una lotta reale, di territorio, costruita con l’impegno di anni di un’intera valle…
La stessa riflessione si può fare circa il fastidio, chiaramente percepibile in determinati momenti, verso alcuni slogan, che non erano contro Berlusconi, ma per le lotte dei popoli o per una resistenza che è dovere reale e non di carta.
Qualcuno ha mormorato che “non c’entravano niente”, qualcun altro che erano “politici”… se non è politico scendere in piazza, che cosa lo è? La trasversalità è un valore, se perde forza e si confonde? E, infine, i numeri hanno di per sé, un significato?
A Torino abbiamo letto cartelli in cui cervello e bellezza sono considerati antitetici, in cui velina e studentessa sono parole che svelano o vizio o virtù, in cui uomini dalla sessualità gentile prendono le distanze da quella di Silvio Berlusconi e, soprattutto, in cui ancora una volta si chiede alle donne di farsi carico di qualcosa: l’indignazione morale.
Facciamoci carico già da oggi della difesa dei consultori pubblici, opponiamoci alla cosiddetta società attiva prospettata dal Libro Bianco di Sacconi, rendiamo concreto, chiaro e radicale il nostro no all’ infamia dei Cie, allo smantellamento della scuola pubblica, alla svendita dello Stato Sociale, alla Chiesa che pretende di dirigere i nostri comportamenti e le nostre scelte e, naturalmente, opponiamoci ai modelli di donna che ci vengono offerti quotidianamente, prima durante e dopo l’indignazione di berlusconiana causa.
Facciamolo da donne, perché sappiamo bene quanto tutto incida profondamente e differentemente sulle vite delle donne.
In conclusione, con provocatorio rispetto per le donne, tutte, che hanno sfilato nelle diverse città italiane e naturalmente per chi ha lanciato e organizzato la giornata del 13 :
… dove eravate?
Mentre le pagine dei giornali per i quali scrivete si riempivano di tette& culi, mentre le agenzie pubblicitarie per le quali lavorate facevano a brandelli il corpo delle donne per vendere qualsiasi cosa, mentre nelle trasmissioni televisive alle quali partecipavate per lanciare i vostri spettacoli o i vostri dischi un minuto prima o un minuto dopo la vostra apparizione le telecamere inquadravano gambe, scollature e biancheria intima della presentatrice di turno, mentre nelle redazioni dei media per i quali lavorate venivano proposte, e propinate, immagini di donne tagliate con l’accetta, o sante o puttane,
… dove eravate?
Mente Joy veniva stuprata nel Cie di Milano, mentre il Consiglio regionale del Piemonte approvava la delibera Ferrero, mentre la Omsa chiudeva e la consigliera nazionale di parità affermava che le operaie licenziate potevano essere ricollocate come badanti,
… dove eravate?
Una domanda, un invito, uno spunto, un pretesto per confrontarsi e ragionare.
Sai,mi piace ciò che hai scritto ed io non partecipo attivamente nel mondo politico perciò
non c’ero nemmeno alla manifestazione del 13 seppur poi un po’ pentita però voglio dirti che le battaglie più piccole hanno la loro importanza.Io non ho lottato per consultori ecc..
però ho rinunciato ad un lavoro e carriera facile rifiutando di sfruttare fotomodelle soprattutto le più giovani e,guarda caso,le più povere.Non ho cambiato il mondo ma limitare certi contributi anche ad un certo ambito lavorativo è comunque una forma di lotta….mi rendo conto che non ho la forza di un gruppo o partito …comunque ritengo che il lavoro quotidiano rivesta una sua importanza e la tua riflessione è giusta ma,a volte,serve coraggio anche solo per imporsi una coerenza tra ideali e realtà !Ciao e grazie perchè il tuo richiamo mi farà riflettere….beh avrai capito che ho un vissuto per cui tutti i partiti mi hanno deluso.