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Intervento su crisi, lavoro, condizioni materiali di vita

Sullo striscione che apre questo corteo c’è scritto “io decido!” … una frase molto semplice, immediata, che tuttavia per le donne, per noi tutte, ha un peso particolare, ha un senso profondo e ha una forza innegabile, la forza di affermare la propria capacità e il proprio diritto a scegliere di noi stesse in qualsiasi ambito delle nostre vite … diciamo io decido! perché vogliamo essere noi a determinare se e quando diventare madri, diciamo “io decido!” perché vogliamo vivere la nostra sessualità liberamente, diciamo “io decido!” quando pretendiamo che il nostro corpo, i nostri bisogni e i nostri desideri non vengano mai utilizzati, piegati o sfruttati per un voto, per vendere una merce o come pretesto per reprimere, vietare, respingere altre donne, e altri uomini.

Ma quando una donna dice “io decido!” è perfettamente consapevole del fatto che ogni sua decisione, ogni sua scelta, passa attraverso il dato concreto delle sue condizioni di vita, della sua autonomia reale, della sua indipendenza che è anche, a volte soprattutto, indipendenza economica: il reddito, per una donna, è un fattore di importanza cruciale … può fare la differenza tra la violenza domestica o la propria salvezza, tra la scelta di fare un figlio, magari da sola, o non farlo, tra una condizione di eterna figlia e la propria crescita …

L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha avuto un significato assoluto, ma si tratta di un fatto storicamente recente, fragile dal punto di vista culturale, e, come sappiamo bene, anche economicamente discriminante … ecco perché quando si parla di crisi, o presunta tale, quando si vive la crisi, da donne, il discorso si fa più urgente, e duro: è vero che la perdita di posti di lavoro al femminile è stata contenuta nel periodo iniziale della crisi, questo perché i settori più colpiti sono stati quelli in cui tradizionalmente la manodopera femminile è meno significativa, ma ben presto abbiamo sperimentato concretamente quali meccanismi di espulsione progressiva delle donne dal mercato del lavoro si siano messi in moto, in varie forme …

e valga per tutti l’esempio del settore tessile, in cui l’occupazione femminile è maggioritaria, nel quale con il pretesto della crisi sono stati chiusi e spostati interi stabilimenti e ricordiamo tutte la lunghissima e tenace lotta delle operaie Omsa, che ha spostato la produzione in Serbia, per non dimenticare Calzedonia – Intimissimi, che si è trasferita in Bulgaria, per citare due marchi i cui negozi si trovano lungo il percorso del corteo, le economiste femministe parlano anche del fenomeno della sostituzione, per cui la crisi accelera processi di licenziamento di lavoratori maschi e si assumono lavoratrici con contratti a part-time, meccanismo grazie al quale il capitale si assicura manodopera facilmente ricattabile, sempre meno qualificata e meno pagata, ma più di qualsiasi altra considerazione dobbiamo tenere sempre ben presente come verrà pagata questa crisi: con i tagli, che come sempre riguarderanno la spesa sociale, vale a dire sanità, scuola, servizi di cura e assistenza, pubblica amministrazione: nella sanità il 64% del totale dei lavoratori è donna, nella scuola il 76%, nella pubblica amministrazione il 55% … tagliare la spesa sociale significa un’espulsione di massa delle donne dal lavoro e soprattutto vuol dire per noi tutte a sostenere un costo altissimo in termini di scelte di vita, possibilità e indipendenza perché sbattute fuori dal lavoro extradomestico ci ritroveremo a svolgere in casa tutto quel carico di lavoro di cura che uno Stato Sociale messo a profitto con le privatizzazioni o semplicemente svenduto

dire che la crisi ha una dimensione di genere non vuol dire semplicemente che, per esempio, il 56% delle donne del Sud non lavora, o che in alcuni settori industriali la perdita di lavoro femminile è doppia rispetto a quella maschile, o che su 100 donne disoccupate ben 60 prima del 2009 lavoravano: dire che la crisi è crisi di genere significa che per ogni donna che esce dal mercato del lavoro salariato vi è una donna che torna a casa … se la frase di apertura della striscione ha un valore, e per noi lo ha!, allora “io decido!” che a casa non ci torno!!!

Posted in 8 marzo, anticapitalismo, autodeterminazione, corpi, crisi/debito, femminismi, lavoro, precarietà.

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