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25 nov 2013. Impariamo a…

giornata-violenza-donne-contro-violenza-donne1Eravamo tentate di non scrivere nulla, quasi a voler ignorare questa giornata ormai divorata e svuotata di qualunque senso.

La violenza maschile sulle donne è diventato un brand, utile a vendere e comprare qualunque cosa. Abiti da sposa, biancheria intima, consenso popolare, audience televisivo. “Sono vittima di violenza, quindi valgo”… e se necessario me lo rivendico pure con un bel coming out pubblico.

Le donne sono sempre oggetto, prima, dopo, durante…ma quel che continua a sconvolgerci è la rimozione pressoché totale del soggetto agente di quella violenza…

La violenza è domestica, come se una mattarello o un ferro da stiro potessero prendere vita propria e volarci sulla fronte per spaccarci il cranio.

La violenza è di genere, di uno qualunque, di tutti, di nessuno, chi lo sa…forse alla prossima meriterà pure una bella “degenderizzazione”  attraverso l’asterisco *

La violenza non è mai esplicitamente maschile. Il soggetto non viene nominato. E ora che anche la parola femminicidio è diventata così trendy, ci si può tranquillamente dimenticare di menzionare il soggetto e omettere questo piccolo e insignificante particolare…

La donna sì, viene nominata ma allo stesso tempo spogliata di qualunque capacità di presa di parola e di azione. La donna è sempre e comunque oggetto del discorso. E se dovesse sfuggire a questa definizione, allora non merita interesse, attenzione, compassione.

La donna viene imprigionata immediatamente in uno stereotipo sessista, di donna vittima, soggetto debole da tutelare e difendere.

Certo che la donna in quel frangente, in un contesto di violenza subita, è la parte debole, ma ben altro cosa è costruirle addosso un immaginario di fragilità tout court.

Debolezza non solo fisica, vista la disabitudine alla reazione fisica (ci hanno insegnato che le donne non menano!), ma anche psicologica perché le botte distruggono non solo il corpo e la dipendenza “psicoeconomica”  è un dato assolutamente reale.

Ben altra cosa è legiferare sui corpi delle donne e strumentalizzare quella violenza per militarizzare un territorio, per criminalizzare i/le migranti, per controllare le persone attraverso la paura.

Se ti ribelli, se alzi la testa, in casa, come fuori, sono mazzate.

Se dici no, a tuo marito, al tuo compagno, a tuo padre, al tuo ex…

Se dici no sul posto di lavoro…

Se dici no manifestando il tuo dissenso in piazza…

Se dici no.

Allora diventiamo tutte insieme  l’eco infinito di quei no.

Impariamo a difenderci, a solidarizzare tra donne, ad autodeterminarci.

Impariamo a pretendere dagli uomini che abbiamo intorno, mariti, figli, compagni di vita e di lotta, un’attenzione e una consapevolezza maggiore rispetto alle relazioni, ai ruoli.

Impariamo a esigere che certe questioni – anche dentro il movimento  – non siano più la politica di serie B.

Impariamo a dire no, a dirlo insieme e a dirlo sempre più forte.

Impariamo a pensare di essere forti, potenti e capaci di reagire.

Impariamo a ribellarci. Impariamo l’autonomia.

Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta.

E’ una via faticosa, ma indispensabile.

Le compagne di MeDeA

Posted in 25 novembre, autodeterminazione, comunicati/volantini, controllo, corpi, femminicidi, femminismi, immagini/immaginari, resistenze, storie di donne, violenza di genere.

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2 Responses

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  1. noi del coming out says

    Vi riportiamo le risposte di noi che abbiamo fatto il coming out, scegliendo con coraggio di esporci proprio per rompere il silenzio e lo stereotipo delle vittime passive, noi insieme ad altre donne che hanno partecipato

    Da Natascia
    Quello che abbiamo rivendicato con il coming out è stata proprio la presa di parola.
    Essere tutte protagoniste di un collettivo improvvisato in piazza rompe il silenzio più di mille parole e cerimoniali vuoti di senso, e anche di offese.
    A me che pratico il femminismo quotidianamente, che 10 anni fa in una piazza romana urlavo la frase che avete scritto alla fine del vostro comunicato, il coming out è servito a trasformare la rabbia in consapevolezza. Non valgo perchè vittima, valgo perchè lotto con le altre!
    Sarebbe stato bello confrontarsi con voi nelle riunioni che abbiamo tenuto e in cui sono state inviate le realtà torinesi, anche solo avere le vostre riflessioni, piuttosto che leggere in un trafiletto il disconoscimento del lavoro di tante di noi.
    Restiamo aperte al confronto se volete

    da Giò:
    Ho partecipato al Coming Out di sabato scorso e me ne sono ritrovata coinvolta ben al di la’ delle aspettative.
    Ho visto e ascoltato l’intrecciarsi di storie molto diverse, accomunate dal riprendersi il discorso: dal farlo pubblicamente – in piazza – e dal farlo insieme – traendo forza dall’ascolto, dal sostegno, dalla presenza e forse (mi piace pensare) dal semplice sguardo delle altre.
    Riprendersi il discorso, usare le proprie parole, e delle proprie storie tornare *soggetti*… e quindi dar loro una direzione. Lasciar cadere zavorre, ritrovare forza.
    Riprendersi il discorso: cio’ che ha consentito che quel discorso diventasse *dialogo*, che chi ascoltava si sentisse interrogata, e potesse ascoltare anche se stessa in modo nuovo. E magari riconoscere che le storie, piccole e grandi, sono tra loro parenti. Che si sta parlando anche di te. Che sei legittimata a prendere in mano il microfono, a trovare anche tu quell’appoggio, a sputare anche tu il tuo rospo.
    E’ stata una cosa forte ed entusiasmante, che mi ha lasciato, oltre a una gratitudine notevole per chi l’ha resa possibile, l’impulso di parlarne a tutte le donne che conosco o giu di li’.
    Io non so quali storie di rivalita’ o dissensi stiano dietro a a un frase buttata li’ per svilire in modo tanto superficiale questa iniziativa, da parte di chi – mi pare di capire, e per certi versi voglio sperare – non c’era nemmeno. Pero’ mi pare una mossa meschina, che l’interesse e la causa comune non meritano.
    Voglio sperare anche ci sia sempre tempo per tornare sui propri passi, conoscere, ricredersi.

    Da Sara
    Care ragazze di Medea, dopo aver letto in “digitalis purpurea” un vostro scritto dedicato al silenzio sulla violenza (nei movimenti e fuori) mi aspettavo che per prime comprendeste il fondamentale significato politico del coming out, che per l’appunto è un riappropriarsi della rabbia, e un sottrarsi alla vittimizzazione che ha fatto da padrona il 25. Anche se capisco il fastidio per il brand “violenza” che vi muove, sospetto che abbiate confuso un pò di cose, e che forse dovreste entrare un pò più nel merito rispetto al coming out. La rabbia si trasforma in lotta, e la prima lotta è la lotta contro la morale che giustifica lo stupro, che, sempre genera il sospetto che chi è stata violentata si debba vergognare. Il coraggio di parlare in pubblico della violenza subita,cosa non facile, e quindi obbligatoriamente da rispettare, ed è il primo passo per abbattere il silenzio che da sempre avvolge le donne che ne sono oggetto. Spesso parlarne è molto rischioso. Anche voi, stavolta, avete confermato questa tendenza. Mi spiace.

    Da Laura Cima
    Care amiche di medea, come laboratorio abbiamo partecipato all’ iniziativa che criticate insieme ad alterEva e ad altre associazioni per favorire la presa di parola sulle violenze subite da molte di noi da parte di maschi. Come nell’autocoscienza l’ effetto è stato trascinante non far emergere dalla memoria fatti e angoscia collegate, nel denunciare sofferenza e persecuzioni per non avere accettato. Forse sarebbe opportuno confrontarci sugli effetti delle nostre pratiche accettando anche critiche fondate ma disposte a valorizzare iniziative fatte da altre che hanno avuto successo. Sono venuta alla vostra iniziativa in favore delle donne greche e mi piacerebbe discutere con voi non su blog ma parlandoci insieme gli effetti. Un abbraccio e buon lavoro a tutte noi
    laura cima

Continuing the Discussion

  1. #25N – le discussioni antiviolenza, contraddizioni e l’industria del salvataggio – Al di là del Buco linked to this post on 11/25/2013

    […] ai comunicati che indicono iniziative (o anche no) a Palermo, Roma, Milano, Bologna, Torino. Alle riflessioni di un anarchic@. Alle azioni messe in atto dalle Cagne Sciolte che sono in giro a […]