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1° maggio 2012: donne di piazza e non di governo!

Alla nascita del governo Monti alcuni gruppi di donne, non certo noi, avevano salutato con soddisfazione la presenza di tre donne in ministeri importanti, in particolare l’ingresso della ministra Fornero al Dicastero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Come avevamo ipotizzato fin dall’inizio la natura ultra liberista del governo Monti ha ben presto attuato politiche disastrose, in particolare per le donne. I tagli alla spesa pubblica hanno colpito solo le spese sociali e i servizi, le pensioni e i salari, senza minimamente toccare anzi favorendo i potentati delle banche, le grandi rendite ed implementando le spese militari e l”’ordine pubblico”.
C’è voluta una Ministra del lavoro donna nel governo delle banche per portare a compimento la peggiore riforma pensionistica di tutta Europa! Con il solo obiettivo di fare cassa, le donne sono le prime a pagare un prezzo intollerabile, obbligate a lavorare 5/10 anni in più in un momento in cui la crisi crea disoccupazione e precariato, gli ammortizzatori sociali vengono pressoché annullati o ridotti all’osso. E’ ingiusta e penalizzante soprattutto per le donne la norma che prevede che al momento della maturazione dell’età di pensione, se non si sono raggiunti almeno 20 anni di contributi, non si percepisca nessun trattamento fino a 70 anni. E in questa situazione, che ci ha riportato agli anni ’50, è davvero difficile racimolare 20 anni di contributi o avere una pensione dignitosa quando questa verrà calcolata con il solo sistema contributivo! Infatti come sappiamo per le donne il lavoro retribuito significa precarietà con continue entrate e uscite dal mondo del lavoro e orari a tempi ridotti. I tagli alla spesa pubblica hanno prodotto e produrranno effetti devastanti sullo stato sociale, gravando prevalentemente sulle donne che continuano sempre più a sobbarcarsi tutti i lavori di cura. La recente rilevazione ISTAT ci conferma che nel 2011 in Italia ci sono quasi 5 milioni di casalinghe non salariate considerando solo la popolazione in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni, le under 35 sono circa 800 mila e nel Sud le massaie superano le occupate.

C’è voluta una Ministra del lavoro donna nel governo delle banche per smantellare l’articolo 18!  
Il bersaglio della contro-riforma Fornero sono le lavoratrici e i lavoratori stabili delle grandi imprese ritenuti poco produttivi che potranno essere liberamente licenziate/i utilizzando la falsa motivazione economica: come ad esempio le e i cinquantenni ormai logori, troppo costosi e poco “flessibili”, i salariati con capacità lavorativa ridotta per ragioni fisiche, psichiche o psicofisiche, da sostituire con giovani precarie e precari, sempre più ricattati e ricattabili. Infatti nella contro-riforma, ad esempio l’articolo 3 prevede la completa liberalizzazione dei contratti a termine per i primi 6 mesi, abolendo ogni tipo di motivazione che il datore di lavoro doveva dichiarare all’assunzione (di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo).
Che sia la delega alle Pari Opportunità che ha spinto la Ministra ad inserire gli articoli 55 e 56 riguardanti direttamente le donne? Al di là del titolo altisonante “tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco” in realtà le disposizioni non sono solo del tutto insufficienti ma anche ridicole se non pericolose.
Prima di tutto il tanto sbandierato contrasto alle dimissioni in bianco cioè quelle dimissioni firmate, senza data, al momento dell’assunzione che permettono al datore di licenziare senza problemi (ad esempio al momento di una gravidanza), si riduce ad un solo comma che prevede una semplice sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000€ per “il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco”. Questo significa che le dimissioni in bianco non sono più reato ma che vengono derubricate a illecito amministrativo e risolte con un risarcimento? Il licenziamento in gravidanza, anche se camuffato da “dimissioni” è licenziamento discriminatorio, cioè nullo, la sola sanzione amministrativa potrebbe essere un rischio calcolato, che un datore di lavoro potrebbe considerare conveniente affrontare.
La legge 188/2007 aveva previsto che le dimissioni volontarie potessero essere firmate solo su particolari moduli degli uffici del lavoro, numerati e datati, per contrastare la pratica della firma in bianco. Nel 2008 il governo Berlusconi, appena tornato al potere, aboliva la legge. Nel biennio successivo, 800 mila lavoratrici, in occasione di una gravidanza, sono state messe in condizione di doversi “dimettere”. E le finte dimissioni impediscono anche alla lavoratrice di beneficiare di eventuali ammortizzatori sociali (es. indennità di disoccupazione) previsti solo in caso di licenziamento. La contro-riforma Fornero si guarda bene dal ripristinare questa norma ma burocratizza la procedura e non risolve il problema della ricattabilità della lavoratrice che dovrà comunque convalidare con la firma le proprie dimissioni. Anche in questo caso si considerano solo le lavoratrici con contratto a tempo indeterminato mentre nulla è previsto per la tutela delle precarie.
L’art. 56 prevede, in via sperimentale per gli anni 2013 – 2015:
–    per il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di “ben tre giorni” anche continuativi, dei quali due giorni in sostituzione della madre e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre. Tre giorni in 5 mesi sicuramente favoriranno quella condivisione dei compiti di cura che a parole sta a cuore alla ministra! E non si arriva nemmeno ai miseri 15 giorni previsti nella proposta approvata dal Parlamento europeo un anno fa!
–    la possibilità di concedere alla madre lavoratrice l’acquisto di servizi di baby-sitting, attraverso la corresponsione di voucher da richiedere al datore di lavoro, da utilizzare negli undici mesi successivi al congedo obbligatorio ed in alternativa a quello facoltativo. I voucher per babysitter sembrano voler incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo facoltativo (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Invece di garantire asili nido pubblici si favorisce il precariato privato con il sistema dei voucher, di cui tra l’altro non si conosce né l’importo né il numero. Anche in questo caso si pensa solo a chi ha un lavoro dipendente, escludendo di fatto la tante donne che lavorano con contratti e collaborazioni precarie.
CONTRO LO SMANTELLAMENTO DEI DIRITTI E DELLO STATO SOCIALE L’UNICA RISPOSTA È LA MOBILITAZIONE DIRETTA DI TUTTE LE DONNE E DI TUTTI GLI UOMINI.
Cgil, Cisl e Uil, con le dovute distinzioni, stanno di fatto, prendendo atto della politica del governo senza una reale opposizione, anzi condividendone l’operato come nel caso di Cisl e Uil.
La CGIL che vede, per la prima volta nella sua storia una donna come Segretaria Generale, Susanna Camusso, si è resa colpevolmente complice della distruzione dei diritti del lavoro, firmando l’accordo del 28 giugno 2011 su “rappresentanza e validità dei contatti aziendali”, che recepisce ed omologa tutti i lavoratori ai diktat di Marchionne imposti con il ricatto a Pomigliano e Mirafiori.
Dopo un’apparente tenuta della CGIL contro il primo disegno di annullamento dell’articolo 18 proposto nella contro-riforma Fornero, apportate le correzioni che hanno visto la modifica da reintegro sul posto di lavoro per licenziamento dettato da motivi economici, giudicato illegittimo, ad un “risarcimento economico”, la Camusso ha espresso “soddisfazione” sul nuovo intero impianto del disegno di legge, una soddisfazione che non trova giustificazione alcuna nel testo presentato in Parlamento, nel quale il reintegro è una palese eccezione scarsamente esigibile dalla lavoratrice o dal lavoratore. Per il momento, tuttavia, grazie alle mobilitazioni spontanee verificatesi in queste settimane, la stessa Camusso ha dovuto fare una parziale marcia indietro.
Riteniamo che l’epoca della concertazione sia definitivamente tramontata, lasciandosi dietro le macerie di quei diritti che le lavoratrici e i lavoratori avevano conquistato in anni di lotte.
SOLO LA LOTTA PAGA!

RECENTI ESEMPI DI “TUTELA DELLA MATERNITÀ”

Le lavoratrici Fiat non avranno diritto al  “Premio straordinario 2012”, pari a 600€ lordi erogato esclusivamente a chi avrà effettuato “nel periodo gennaio – giugno 2012 un numero di ore di effettiva prestazione lavorativa non inferiore a 870”.
In Fiat, quindi, qualsiasi assenza dovuta a maternità (ivi compreso il periodo di congedo obbligatorio e quello cosiddetto sotto ispettorato), le due ore di riposo per allattamento, congedi parentali, assenze per malattia figlio, permessi per legge 104, faranno perdere il diritto a percepire il premio 2012.

La “clausola maternità” inserita dalla Rai nei contratti di consulenza: «Nel caso di sua malattia, infortunio, gravidanza, causa di forza maggiore o altre cause di impedimento insorte durante l’esecuzione del contratto, Ella dovrà darcene tempestiva comunicazione. Resta inteso che, qualora per tali fatti Ella non adempia alle prestazioni convenute, fermo restando il diritto della Rai di utilizzare le prestazioni già acquisite, le saranno dedotti i compensi relativi alle prestazioni non effettuate. Comunque, ove i fatti richiamati impedissero a nostro parere, il regolare e continuativo adempimento delle obbligazioni convenute nella presente, quest’ultima potrà essere da noi risoluta di diritto, senza alcun compenso o indennizzo a suo favore». Una clausola che rivela una totale assenza di qualsivoglia tutela della lavoratrice precaria in caso di maternità o di malattia.

Posted in anticapitalismo, comunicati/volantini, crisi/debito, precarietà, primo maggio, resistenze.