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Regimi di viseità. Ovvero essere escort o essere facile? That’s the question!

Eccola lì che zampetta ai tuoi piedi…” – disse la Zanzara. (Alice tirò indietro i piedi un po’ allarmata) – “…puoi osservare la Farfalla ‘Pane-e-Burro’. Le sue ali sono fettine sottilissime di pane spalmate col burro, il corpo è un pezzo di crosta, e la testa è una zolletta di zucchero”. “E di che cosa si nutre?” –  “Di tè leggero con panna.”

Una nuova difficoltà sorse nella mente di Alice: ” E se non ne trova?” – chiese. “Allora muore, naturalmente” – rispose la Zanzara. “Ma è una cosa che le deve capitare molto spesso.” – osservò Alice, pensierosa. “Le capita sempre” – disse la Zanzara. Dopo di che Alice restò silenziosa per un paio di minuti, sovrapensiero.

(Through the Looking Glass and what Alice found there, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, Lewis Carroll)

Il sistema logico occidentale è stato per secoli, tranne rare eccezioni, binario.

Arborescente, direbbe Deleuze, linee di evoluzione coatte, a destra o a sinistra, femmina /maschio, uomo (specie) o animale, di qua o di là, escort (puttana) o santa, casalinga o donna in carriera, lesbica camonista/eterosessuale frizzi e lazzi, rosa o blu.

Certamente nel suo impianto fondamentale continua ad esserlo anche se, tra gli altri, fu proprio il movimento femminista radicale degli anni ’70 a metterlo in questione, nelle sue ricadute nefaste sull’ontologia quotidiana delle donne. Si potè essere per un po’, in linea di principio, sante e puttane, o solo sante, o solo puttane, o nessuna delle due. Poi venne l’oblio culturale e politico. E a mano a mano che il dibattito entrava nelle università dalla porta principale, con le prime cattedre, anche in Italia, dedicate alla storia delle donne e del pensiero femminile, perdeva mordente, abbandonava le strade, come buona parte del restante movimento. Alcune erano state cooptate dalle Istituzioni, “per cambiarle da dentro”, sedotte dalle sirene delle leggi su divorzio e aborto, e gli esperimenti di autogestione reale, come quello dell’estate del ’78, poco dopo l’approvazione della 194, al repartino dell’Umberto I di Roma, diventavano sempre più rari, per sparire poi del tutto. Intanto gli oracoli di Guy Debord sulla conversione definitiva della società da accumulo di capitali ad accumulo di spettacoli si avveravano.

Le televisioni private – NON BERLUSCONI: se non lui, qualcun altro, al posto suo –  proliferavano, le stesse condizioni globali di produzione mutavano, spostandosi nell’iperuranio astratto della finanza, retrocedendo al di qua del vissuto, nel mondo evanescente della rappresentazione. Ora, dal punto di vista del destino mondano delle donne sussistono due possibili interpretazioni e declinazioni di questo globale processo di derealizzazione a favore delle immagini:

possibilità A) featuring “Se non ora, quando”: la brutalizzazione dell’immagine delle donne è responsabilità di una parte di mondo (l’incontinente Berlusca, rappresentato in alcuni cartelli sedicenti femministi da un pannolone per anziani/ le sue escort, rappresentate negli stessi da un perizoma). Per il resto esistono un sacco di donne – donne (non puttane, e quindi, per forza, implicitamente sante, secondo il vecchio adagio contro cui pure si era lottato) che lavorano, pagano le tasse onestamente, studiano onestamente e non la danno a professori, vogliono essere (come la Marcegaglia, domenica 9 ottobre, a Che tempo che fa) – “madri a tempo pieno e imprenditrici a tempo pieno”…..(non basterebbe il miglior Welfare del mondo, perchè 24+24= 48 ore, e non esistono giorni così….). E le loro corrispondenti immagini “buone”.

possibilità B – Se non ora, quando? Mais toujours, mès chères, toujours featuring femminismo radicale 70’s, Carlo Marx, Guy Debord: l’Occidente – oggi piuttosto qualunque area geografica raggiunta dalle attuali condizioni di produzione – ha un problema con le immagini vecchio almeno  quanto il modo di produzione capitalistico, da quando le cose sono diventate merci (K.Marx, Il Capitale, Libro I ): finchè restano valori d’uso restano oggetti sensibili, concreti, semplici, ma quando il triviale tavolo di legno diventa merce, oggetto di scambio, le cose cambiano, il tavolo balla, e si ribalta, come se avesse vita propria. Assumendo un’autonomia rispetto ai produttori pari solo agli enti venerati dalle religioni. E’ il feticismo e l’arcano della merce.

Poi arriva la società dello spettacolo, in cui non è più nemmeno questione di oggetti – merce, ma di immagini-merce. La quota d’immaterialità aumenta, e con essa il grado di autonomia e separatezza dal vissuto, dal mondo reale. E le donne, che come merci peculiari ben conoscono, per secolare storia, il carattere disumano di tale feticismo, la menzogna e il tradimento che si celano nell’essere ipostatizzate in quanto esseri arcani, – lo si può dire? non me ne voglia nessuna – hanno abbandonato in buona misura una radicale riflessione sullo statuto dell’immagine in sè e per sè.

Tendono, nella loro stragrande maggioranza, come le maggioranze silenziose del Se non ora, quando, a dare per scontata la necessità dell’auto-rappresentazione, l’obbligatorietà della produzione di immagini adeguatamente contrarie a quelle, ad esempio, offerte dalle tv commerciali. E invece l’immagine, a mio parere, comporta rischi in se stessa. Oggi essa è sommamente autonoma e vive una vita propria, potentissima. Ce ne potremmo accorgere molto più spesso, e non solo quando furbi

direttori del marketing di una casa di moda ci tappezzano le strade con modelle su cui campeggiano scritte come “sono Maddalena, faccio la escort e non sono una ragazza facile”, “sono Chiara mi piacciono le donne e non amo i motori”, “sono Maria non sono vergine e ho una forte personalità”, “sono Emma, ho tre figli e al lavoro comando io”, “sono Monica, lavoro in politica e non vado a letto con nessuno”. Queste pubblicità sono schifose, ma perchè? Perchè queste frasi, apparentemente contro le dicotomie classiche, a dire della stessa casa di moda,  e dunque in qualche modo “femministe” (Monica, la politica, dice qualcosa di molto simile a quanto detto da molte), sono attribuite a delle modelle taglia 36  che assomigliano molto alle veline del tardo impero berlusconiano? O forse, più radicalmente, perchè sono pubblicità, e dunque immagini-merce, e dunque autonome rispetto al mondo reale, ai nostri vissuti, che nulla più possono quando vengono prodotti come rappresentazioni, indipendenti per natura, separati ? La separazione è “l’alfa e l’omega dello spettacolo”, in quanto versione postmoderna della istituzionalizzazione della divisione sociale del lavoro e della formazione delle classi. Essa è una forma di sacralizzazione, giusta l’origine etimologica del termine sacer, separato. L’immenso accumulo di immagini si costituisce oggi in un reame che appare inattaccabile, minaccioso, dispotico. Torna a regnare persino sulle parole delle donne che vorrebbero, in totale buona fede, ritengo, opporsi alla mercificazione, negli slogan delle piazze affollate, in cui fanno capolino odiate distinzioni ontologiche tra puttane e non, donne per bene e donne per male.

E allora, si può essere ancora tutto, possiamo ancora accarezzare questo desiderio, senza mortificarlo e neutralizzarlo in un’immagine di esso che, forzatamente, sarà nell’uno o nell’altro modo? Si può, credo, anche se è come essere Farfalle Pane-e-Burro, che possono nutrirsi solo di tè leggero e panna. Capita spesso di non trovarne? Allora capita di morire molto spesso, ma tranquille, si muore solo al regime della viseità, si smette soltanto di avere un’immagine, di affaticarsi nell’auto-rappresentazione di sè. Restano le lotte concrete, a riallacciare i fili di un rapporto fattosi troppo flebile con le donne i cui corpi, più di tutte, sono i nuovi campi di battaglia: le migranti, chiamate ad una rapida assimilazione estetica e oggetto privilegiato delle brame dei movimenti antiabortisti; le giovanissime, che nei consultori non ci hanno mai messo piede e per responsabilità di molte – non tutte – femministe “storiche”, troppo borghesemente auto-referenziali e compiaciute, quando sentono parlare di “femminismo” storcono il naso e tirano dritte. Oggi la libertà è libertà dall’immagine, non dell’immagine che si vuole. Non è iconoclastia, ma cautela, saggezza e consapevolezza dell’immagine. Come scriveva un folgorante poeta dell’underground praghese censurato dal regime…..”«Ieri non mi sono lavata i piedi / nemmeno oggi / e anche domani non lo farò / Come sono libera”. Il regime della viseità detesta, chi vi si sottrae, ovvero, si può essere felici anche senza “lavarsi i piedi”.

Posted in anticapitalismo, consultori, corpi, femminismi, immagini sessiste, immagini/immaginari, pensatoio, personale/politico, resistenze, sessismo, storie di donne, violenza di genere.