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Genova-Chiomonte solo andata

Tutto correva in quei giorni, sembrava che il mondo stesse per cadere, fuochi in tutto il mondo, la battaglia di Seattle. Un crescendo verso Praga, Nizza, Napoli. Le piazze si erano riempite di nuove immagini e persone.

Uscivo per la prima volta dalle porte del mio piccolo collettivo di facoltà. E mi ritrovavo in un labirinto di persone, idee e sogni. Non li capivo tutti, non capivo le regole per muoversi in quel popolo variegato. Avevo capito che lì dentro dovevi trovarti un tuo posto. Ce n’era per tutti come dimostrava il video dell’assalto al cielo di Praga. Conoscevo i posti occupati della mia città, ci avevo passato tante serate. Li sentivo vicini, ma non avevo idea di dove si collocassero. Stavano tutti dalla stessa parte?

Mentre cercavo una collocazione, sentivo crescere l’appartenenza a quei sogni e a quelle strade. Per la prima volta lasciavo da parte la rigidità degli studi scientifici senza rendermi conto che da quella porta non ci sarei mai più rientrata.

Si discuteva di violenza, non violenza, resistenza passiva, tute bianche e sinceramente non me ne fregava niente. Volevo sentir parlare di cosa teneva unito quel magma incandescente, non la sua composizione chimica. Stava nascendo qualcosa: una rabbia consapevole che non voleva essere etichettata e stereotipata. Dritti alla meta, praticare l’obiettivo. Con il mezzo che più si adatta alla battaglia.  Cadevano le barriere di controllo che mi ero costruita. Percepivo la violenza del mondo che ci circonda per la prima volta. Comunque vadano le cose, abbiamo ragione noi!

Nella strada verso Genova ogni auto blu era un sussulto, cinque ore per stradine sconosciute per evitare i blocchi. Un paese militarizzato. E noi a muoverci nell’ombra per arrivare al Carlini. Era lì che avevamo deciso di andare. Senza un motivo particolare. L’emozione nel varcare quel cancello. Erano 10 anni fa! Protezioni, scudi, bottiglie di plastica. Tutti all’opera. Funzionerà?

Sabato, prima di partire si prova a vedere se gli scudi reggono. Neanche 5 minuti sotto finte cariche. Bene! Ma non importa.

Poi si parte, tutto accelera, tutto esce dai piani. Elicotteri, ambulanze, uno sparo. Un ragazzo è morto. Corre la voce di strada in strada. Ancora fuochi, barricate, resistenze.

E poi si torna al Carlini dove si capisce che nulla sarà più come prima. Tra facce stanche e incredule, si prova una sensazione incontrollabile. Un unisono di tristezza e rabbia che rimane tuttora il sentimento collettivo più forte che abbia mai provato.

Poi una doccia fredda di realtà e comincia il lavorio politico di cui non volevo sentir parlare.

Le divisioni, i buoni, i cattivi. Tutto sembra cadere a pezzi. Ma per chi era lì quella sera, per chi era dentro quella nuvola di rabbia, nulla sarà mai più come prima.

Pochi mesi fa, riunione del contro G8 a Parigi. Pochi superstiti in una stanza fin troppo grande si chiedono cosa sia cambiato da Genova a oggi. Mi viene da sorridere e lascio la stanza. E’ cambiato tutto. E’ cambiato il mondo e sono cambiate le persone che hanno continuato a vivere quei sogni dopo Genova.

Dopo Genova, mentre i giornali sventolavano foto di black block, ho trovato il mio posto in quel movimento. So chi sono e conosco i compagni e le compagne con cui basta uno sguardo in strada per capire dove andare. Da quei giorni ne ho viste tante di piazze divise tra manganelli, gas e violenza da una parte e gioia, entusiasmo e coraggio dall’altra.

Quattro anni dopo Genova, ci siamo ripresi Venaus. Mentre si marciava tra i sentieri che ci indicavano le persone del posto, mentre conquistavamo il cantiere, un pensiero è andato a Carlo. Quel ragazzo che non conoscevo e che non ho mai voluto mitizzare.

Mi sono resa conto che lui era lì con noi perchè in quel prato, davanti all’ex cantiere, c’era quella stessa sensazione di appartenenza che avevo provato a Genova. Eravamo lì e stavamo restituendo a Carlo una parte della sua vita. Dopo tristezza, rabbia e impotenza stavamo ricominciando a vivere all’unisono nella determinazione del popolo del NO TAV.

Ci siamo rincontrati con Carlo nei sentieri della Ramat e nei boschi attorno alla centrale di Chiomonte qualche giorno fa. Mentre la montagna applaudiva le reti che venivano giù.

Ancora una volta ci siamo noi, un popolo con i suoi sogni, contro gli interessi dei potenti.

Ancora una volta ci sono quelli vestiti uguali che li difendono.

Ancora una volta ci sono gli elicotteri che volano bassi sulle nostre teste.

Sono passati 10 anni!

Questa volta non andiamo indietro.

Questa volta non ci dividiamo.

Questa volta daremo a Carlo la giusta vendetta: la nostra vittoria!

Da Genova a Chiomonte è stato un viaggio di sola andata, verso una determinazione da cui non si torna più indietro. La continuazione del sogno interrotto dalla morte di Carlo.

Genova ha cambiato la vita di chi c’è stato e delle generazioni successive.

Genova a me ha insegnato che la prima zona rossa da abbattere è dentro di noi. Oltre quella rete c’è la forza della condivisione dei sogni. C’è la marcia che diventa un respiro collettivo.

E sui monti della Valsusa stiamo ricominciando a respirare l’aria della riconquista del nostro futuro.

F.

Posted in g8genova2001, no tav, pensatoio, resistenze.


One Response

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  1. agro says

    questo riassunto di 11 anni della tua storia è bellissimo.
    complimenti
    agro